La contestata riforma del Catasto, un capitolo dedicato al riordino dell’Iva e i progetti che puntano a una riduzione del cuneo fiscale con un intervento sull’Irpef e l’obiettivo di arrivare a un’archiviazione dell’Irap. La legge delega per la riforma fiscale comprende 10 articoli: una volta individuate le priorità, spetterà poi al governo emanare entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi di attuazione.
Per l’attuazione delle delega fiscale si potranno utilizzare «2 miliardi nel 2022» e «1 miliardo» nel 2023 dal fondo per la riforma fiscale creato con l’ultima manovra. Le risorse del fondo potranno essere integrate con le nuove entrate strutturali derivanti dalla lotta all’evasione fiscale. L’attuazione della delega non dovrà comunque pesare sui conti pubblici ed eventuali decreti che richiedano fondi andranno varati contestualmente o dopo i provvedimenti che reperiscono le risorse necessarie. Il governo vuole rivisitare anche l’attività di riscossione e renderla più efficiente verso «obiettivi di risultato piuttosto che di esecuzione del processo». Si prevede una revisione dell’attuale meccanismo della remunerazione dell’agente della riscossione, «favorendo anche l’uso delle più evolute tecnologie». L’obiettivo resta comunque quello di eliminare «duplicazioni» organizzative, logistiche e funzionali. Si vuole superare l’attuale sistema connotato da una netta separazione tra il titolare della funzione della riscossione (ossia l’Agenzia delle Entrate) e il soggetto deputato allo svolgimento delle attività di riscossione (Agenzia delle Entrate-Riscossione).
La classica addizionale Irpef comunale e regionale verrà sostituita da una «sovraimposta», ma in modo tale che le regioni e i comuni ottengano comunque lo stesso gettito. La bozza della delega sulla riforma fiscale punta anche a una revisione dell’Irpef per garantire il principio della «progressività». In tal senso, il governo ha come obiettivo quello di «ridurre gradualmente le aliquote medie effettive derivante dall’applicazione dell’imposta anche al fine di incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mondo del lavoro, con particolare riferimento ai giovani e ai secondi percettori di reddito, nonché l’attività imprenditoriale e l’emersione degli imponibili». Non solo, ma tra gli obiettivi anche quello di «ridurre gradualmente le variazioni eccessive delle aliquote marginali effettive derivanti dall’applicazione dell’Irpef», nonché «il riordino delle deduzioni dalla base imponibile e delle detrazioni dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche». Sotto osservazione sarà l’aliquota del 38% che riguarda i redditi fra 28 e 55 mila euro che chiede a 7 milioni di italiani di pagare tasse per 11 punti percentuali in più rispetto al 27% che pagano i contribuenti dello scaglione precedente.
La riforma fiscale prevede anche il «graduale superamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (Irap)». Con una prescrizione, però: dovrà garantire «in ogni caso il finanziamento del fabbisogno sanitario». Il superamento dell’Irap completa la revisione dell’imposizione sui redditi personali e su quelli d’impresa.
Il governo vuole anche introdurre norme per la razionalizzazione dell’Iva e delle imposte indirette sulla produzione e sui consumi «con particolare riferimento al numero e ai livelli delle aliquote e alla distribuzione delle basi imponibili tra le diverse aliquote allo scopo di semplificare la gestione e l’applicazione dell’imposta, contrastare l’erosione e l’evasione, aumentare il grado di efficienza in coerenza con la disciplina europea armonizzata dell’imposta».
Anche per l’Ires (l’imposta sui redditi delle società) l’obiettivo è una sua «razionalizzazione» e «semplificazione» da perseguire secondo precisi principi e criteri direttivi, finalizzati alla riduzione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese, anche attraverso un rafforzamento del processo di avvicinamento tra valori civilistici e fiscali, con particolare attenzione alla disciplina degli ammortamenti. La nuova disciplina dell’Ires dovrà tener conto «delle variazioni in aumento e in diminuzione apportate all’utile o alla perdita risultante dal conto economico per determinare il reddito imponibile, al fine di adeguarla ai mutamenti intervenuti nel sistema economico, anche allineando tendenzialmente tale disciplina a quella vigente nei principali paesi europei; tendenziale neutralità tra i diversi sistemi di tassazione delle imprese, per limitare distorsioni di natura fiscale nella scelta delle forme organizzative e giuridiche dell’attività imprenditoriale».
Oggetto di confronto politico, con la Lega che ha chiesto di approfondire il tema in questione, la riforma prevede «una modifica della disciplina relativa al sistema di rilevazione catastale al fine di modernizzare gli strumenti di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati». Obiettivo: stanare gli immobili non censiti, quelli abusivi e quelli con errata destinazione d’uso o categoria catastale. Inoltre, si prevede di attribuire a ciascuna unità immobiliare, oltre alla attuale rendita catastale, «il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata» a valori di mercato. Viene inoltre precisato che «i nuovi criteri non» saranno utilizzati «per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali». Ci saranno, poi, un aggiornamento periodico di valori e rendite e norme ad hoc per gli immobili storico-artistici. «Il contribuente medio — ha specificato il premier Mario Draghi nella conferenza stampa successiva al consiglio dei ministri — non si accorgerà di nulla per quanto riguarda il catasto, resterà tutto come prima».