Da un lato gli aiuti alle imprese per le assunzioni già approvati lo scorso autunno, ancora non entrati in vigore in mancanza del decreto attuativo. E altri mini incentivi per chi fa un contratto a un under 35 o a una donna. Dall’altro l’annunciato bonus per i dipendenti: cento euro in più in busta paga a gennaio, solo per chi ha un reddito annuale non superiore a 28mila euro, un coniuge e almeno un figlio a carico (o per i genitori single con un figlio a carico). In assenza di fondi per finanziare un provvedimento ad hoc in vista della festa dei lavoratori come fece l’anno scorso, la premier si rivende come una novità la super-deduzione del costo del lavoro per chi assume a tempo indeterminato, prevista nel primo modulo della riforma delle imposte sul reddito, approvato in Consiglio dei ministri a ottobre 2023 e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 30 dicembre.
Le disposizioni attuative erano state rinviate a un decreto del ministero dell’Economia di concerto con quello del Lavoro, da adottare entro trenta giorni: la data limite è stata ampiamente sforata e ora il provvedimento sarà inserito nel decreto legge sulla riforma dei fondi di coesione. Da Palazzo Chigi parlano di «misure per sostenere l’occupazione dei giovani, delle donne e di alcune categorie di lavoratori svantaggiati, che prevedono la riduzione degli oneri contributivi per i nuovi assunti per due anni. Accanto alle misure per sostenere il lavoro dipendente sono previste specifiche disposizioni per favorire l’avvio di nuove attività distinte per il Centro-Nord e il Mezzogiorno».
La super deduzione viene riconosciuta, spiega il Sole24Ore, «a condizione che i soggetti beneficiari abbiano esercitato effettivamente l’attività nei 365 giorni (ovvero nei 366 giorni se il periodo d’imposta include il 29 febbraio 2024) antecedenti il primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023». Nel dettaglio, a chi dal 1° luglio 2024 al 31 dicembre 2025 assume under 35 al loro primo contratto a tempo indeterminato è riconosciuto un esonero dal versamento di massimo cinquecento euro su base mensile, che sale a 666 euro per chi assume lavoratori in Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.
Previsto anche un bonus una tantum fino a cento euro in busta paga. La prima versione, comparsa nella bozza della scorsa settimana, prevedeva un’erogazione da ottanta euro sulla tredicesima per tutti i dipendenti con reddito fino a 15mila euro, poi trasformato un’indennità fino a cento euro da corrispondere ai lavoratori con reddito fino a 28mila euro e con coniuge e almeno un figlio a carico. L’intervento costa cento milioni, una somma quasi trascurabile rispetto al bilancio dello Stato: eppure la settimana scorsa l’arrivo in Cdm del decreto è slittato per la necessità di approfondimenti sulle “compatibilità finanziarie”, cioè per la difficoltà di trovare le coperture. Così alla fine il bonus è slittato a gennaio 2025, per non gravare sul bilancio di quest’anno.
C’è chi parla di una mancia elettorale. Critici i sindacati: «Nel decreto, come sta capitando spesso, ci sono piccole cose sul lavoro, come i bonus una tantum e defiscalizzazioni già decise da tempo che ora hanno i provvedimenti attuativi. Ma nulla di strutturale, anche perché mancano le coperture finanziarie», dice Francesca Re David, segretaria nazionale della Cgil. «Il giudizio non è positivo né sulle modalità né sui “contenuti a bonus”, l’emergenza precarietà e salario sono assenti».