La chiusura delle scuole durante la pandemia di Covid-19 è stata pressoché inutile. A rivelarlo Bankitalia che ha pubblicato tra i suoi temi di discussione, o working papers, una lunga analisi in inglese firmata da Salvatore Lattanzio. Il titolo: “Schools and the transmission of Sars Cov2, evidence from Italy”. In sostanza, l’economista di Bankitalia ha studiato l’effetto delle riaperture e chiusure delle scuole sulla diffusione del Covid quando ancora non erano disponibili vaccini. Queste le sue conclusioni: «La chiusura delle scuole non sembra avere influenzato – almeno nel breve periodo – le dinamiche di contagio per chi è stato più esposto al rischio di sviluppare forme più gravi».
Insomma, pur chiudendo le scuole, gli anziani e i fragili non si sono ammalati di meno. Ma l’autore del paper, a pagina 27, aggiunge un’altra considerazione importante. La premessa è che le prove presentate in questo documento «non considerano gli effetti gravi e di lunga durata che la chiusura delle scuole ha sull’apprendimento degli studenti, sulla salute mentale, sull’interazione sociale e sui genitori, in particolare sull’offerta di lavoro delle madri». Secondo Lattanzio, dunque, «quando si opta per la chiusura delle scuole per un lungo periodo di tempo, i responsabili politici dovrebbero soppesare i vantaggi della riduzione della circolazione del virus rispetto ai costi associati alle chiusure». Di fatto, ha spiegato Lattanzio, «avere una precisa quantificazione dei benefici della chiusura delle scuole è fondamentale per adottare risposte politiche adeguate ed evitare inutili perdite di apprendimento per gli studenti».
Lattanzio ripercorre le tappe di quei mesi terribili. «L’Italia è stato il primo Paese occidentale ad essere colpito duramente dal Sars-Cov-2. Il primo caso risale al 31 gennaio, mentre il primo decesso è stato registrato il 21 febbraio. A seguito della diffusione del virus, soprattutto nel nord del Paese, il governo ha optato per l’attuazione di due “zone rosse”, che hanno coinvolto 11 comuni lombardi e veneti, di fatto in lockdown. Allo stesso tempo, molte regioni del Nord hanno deciso di chiudere le scuole. Questa misura è stata allora estesa a tutta la nazione il 4 marzo, pochi giorni prima del blocco nazionale, che è stato istituito il 10 marzo. Le scuole sono rimaste chiuse durante tutto l’anno scolastico e solo gli studenti delle scuole superiori che sostenevano l’esame finale erano ammessi nelle aule durante l’estate». A settembre gli alunni sono tornati sui banchi ma in giorni diversi in diversi gruppi di regioni. «Dopo la riapertura delle scuole, il numero di casi è rimasto basso per tutto settembre e ha iniziato a salire a ottobre in una seconda ondata che ha poi portato il governo a stabilire una serie di interventi che comprendevano chiusure scolastiche parziali o totali a seconda dell’incidenza della malattia».
L’economista di Bankitalia ha dunque preso in esame le diverse date di riapertura tra le regioni dopo l’estate 2020, mostrando che le regioni ad apertura anticipata hanno registrato più casi nei 40 giorni dopo la riapertura rispetto a quelle che l’hanno ritardata. Tuttavia, sottolinea l’autore, «c’è una grande incertezza intorno alle stime, e questo suggerisce un’ampia dispersione negli effetti sulla trasmissione del Covid». Nel paper viene evidenziato il caso della Campania, una delle più grandi regioni del Sud Italia, dove il presidente Vincenzo De Luca ha deciso di chiudere tutte le scuole il 16 ottobre per frenare i tassi di infezione. Una strada che non è stata seguita da altre regioni, che hanno deciso invece di seguire i consigli del governo. «Usando un controllo sintetico, il paper mostra che il numero di casi diminuisce in Campania a seguito di chiusure scolastiche relative al gruppo di controllo delle regioni.
La divergenza nei casi è determinata principalmente dai bambini piccoli e dall’età 19-24 e 25- 44. Le fasce di età più anziane, invece, non ne sono interessate. Quindi, le chiusure scolastiche non sembrano influenzare – almeno nel breve periodo – le dinamiche di contagio per chi è più esposto al rischio di sviluppare forme più gravi di Covid-19». Viene, inoltre, aggiunto che «tassi di incidenza più elevati tra gli studenti sono associati alla qualità degli edifici scolastici e, in misura minore, con l’affollamento delle aule».