Scrivo oggi sull’onda di emozioni immediate. Ho appreso stamattina la notizia della morte di Milan Kundera. La mia mente corre ai titoli dei suoi libri: La festa dell’insignificanza, oppure a L’insostenibile leggerezza dell’essere. Non solo se n’è andato un grande scrittore ma un intellettuale dell’Europa centrale, cioè quella delle piccole nazioni (per usare una sua definizione) che con lucidità e profondità ha indagato la profonda crisi dei valori della nostra modernità. Uno scrittore dalla parola essenziale, tagliente ma allo stesso tempo dotato di una vena narrativa di ampio respiro, che sapeva indagare e mettere in luce le contraddizioni della vita, il male insito in ogni esistenza, la difficoltà di esistere.
Uno scrittore tormentato dal rovello di capire le ragioni del nostro esistere e allo stesso tempo affascinato dalla bellezza che si manifesta nelle sue diverse forme. Uno scrittore impegnato che ha saputo ricordarci il valore della verità e di come la ‘repressione di qualsiasi opinione, inclusa la brutale repressione di false opinioni’ è una negazione della verità stessa, che è possibile raggiungere solo attraverso il confronto di ‘idee libere ed eguali’. Uno scrittore, che in un tempo come il nostro in cui c’è la tentazione sottotraccia di negare il valore della libertà di pensiero, l’ha invece ribadita, con forza e volontà, ricordandoci che senza libertà non c’è prosperità nelle arti e nella letteratura. Di Kundera ricordo non solo le pagine di narrativa ma la lucidità delle sue osservazioni, risalenti al lontano 1967, sul ruolo negativo che possono avere per la patria quegli uomini che mancano di storia e cultura, trasformando la patria stessa in un deserto (da Un Occidente prigioniero, p. 29):
[…] Gli uomini che vivono solo un presente decontestualizzato, che ignorano la continuità della storia e mancano di cultura possono trasformare la patria in un deserto privo di storia, di memoria, di echi e di ogni bellezza. […]
Kundera ci ha aiutato a leggere il presente con occhi diversi e anche a dare un valore diverso alla parola vandalo. Con coraggio e audacia, e in anticipo sui tempi, ha dimostrato che esiste anche un ‘vandalismo pubblico’, cioè quello dei burocrati che nascondendo le proprie azioni malvagie all’ombra della legge distruggono ‘un castello, una chiesa, un tiglio centenario’:
[…] Se un comitato di cittadini oppure di burocrati incaricati di un’indagine stabilisce che una statua (un castello, una chiesa, un tiglio centenario) è inutile e decide di eliminarla, non fa che mettere in atto una diversa forma di vandalismo. Fra una distruzione legale e una illegale non c’è grande differenza, così come fra una distruzione e una proibizione […]
Kundera ha avuto il coraggio di proporre un tipo di letteratura e di scrittura non commerciale, in un tempo in cui i libri che vengono pubblicati hanno perso qualunque capacità di portare messaggi di verità, e di riflessione sulle ragioni del nostro essere al mondo e in cui sono stilisticamente uguali gli uni agli altri. Ci ha ricordato nei suoi libri che l’Europa ha abbandonato la cultura, che è diventata del tutto marginale:
[…] Nel frattempo la pittura ha perso la sua importanza, è diventata un’attività marginale. Forse perché non era più di qualità? O sono venute meno la passione che ci ispirava e la capacità di comprenderla? Comunque sia l’arte che determinò lo stile delle varie epoche, che per secoli accompagnò l’Europa, ci sta abbandonando, o meglio: siamo noi che la stiamo abbandonando. […]
Kundera come Zigmunt Bauman, come insomma quei grandi intellettuali dell’Europa centrale, cioè delle piccole nazioni senza cui non esisteva e non esiste Europa, principalmente in senso culturale, ci ha dato una grande lezione sulla tragedia dell’Europa e del nostro presente. E la sua lezione è di grande attualità, in un contesto in cui Russia e Europa (ovvero l’Occidente) si contrappongono attraverso la guerra in Ucraina in un nuovo conflitto (da Un Occidente prigioniero, p. 74):
[…] La sua vera tragedia non è dunque la Russia, ma l’Europa. L’Europa, quell’Europa per la quale il direttore dell’agenzia di stampa ungherese era pronto a morire, ed è morto, tanto rappresentava per lui un valore essenziale. Al di della cortina di ferro non sospettava neppure che i tempi erano cambiati e che in Europa l’Europa non è più sentita come un valore. Non sospettava che la frase inviata per telex oltre i confini del suo paese privo di rilievi aveva un’aria desueta e che non sarebbe stata mai capita. […]
Che altro dire? Grazie Milan per le emozioni che ci hai dato e per ciò che ci hai insegnato! Che la terra ti sia lieve!