Un caso di colera e riparte la macchina del terrore virale. «Torna il colera in Sardegna, anziano ricoverato a Cagliari», così titola un articolo dell’Ansa, seguito immediatamente a ruota da gran parte dei media. Un anziano di Arbus è ricoverato nel reparto di malattie infettive dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari contagiato dal colera. Le sue condizioni sono stabili ed è in miglioramento. Secondo il direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale di Cagliari Goffredo Angioni il paziente «sta meglio ed è tornato in condizioni quasi normali. Un quadro, insomma, in progressivo miglioramento».
Secondo quanto riporta L’Unione Sarda, il paziente è ricoverato in ospedale da cinque giorni. Sconosciuto al momento il luogo e il giorno del contagio: l’anziano soffre di patologie cardiache e non avrebbe fatto recentemente viaggi all’estero. Ha accusato i primi sintomi circa un mese fa e questo elemento rende difficile stabilire il momento esatto del contagio.
L’ultimo focolaio di colera in Italia risale al 1994, quando a Bari furono registrati una decina di contagi provocati dal consumo di pesce crudo. Difatti, sembra proprio che l’indiziato principale di questo rarissimo caso di colera sia stato proprio un piatto a base di cozze consumate dal pensionato di 71 anni, sebbene i medici sardi che si occupano del caso stiano aspettando gli esiti delle analisi effettuate dall’Istituto superiore di sanità per confermare l’esatto vettore con il quale è venuto in contatto il paziente.
Oggi questa malattia resta endemica in Africa, in Asia e in America, mentre in Italia e in Europa si riscontrano ogni anno pochissimi casi, che riguardano esclusivamente cittadini di ritorno da Paesi in cui il colera è ancora presente. Un comunicato dello scorso 11 febbraio del ministero della Salute indica che nel 2022 la prima epidemia di colera in oltre dieci anni è stata segnalata in Libano e Siria, con rischio di introduzione e diffusione tra rifugiati e sfollati in Turchia. Jérôme Pfaffmann Zambruni, responsabile dell’Unità di emergenza per la salute pubblica dell’Unicef, il 20 maggio ha reso noto che 25 Paesi hanno già dichiarato focolai di colera dall’inizio del 2023.
Il colera torna a diffondersi e l’Oms che fa? Lancia l’allarme. «Stiamo assistendo a un preoccupante aumento di focolai di colera nel mondo. Nei primi 9 mesi dell’anno, 26 paesi hanno già segnalato focolai di colera, mentre tra il 2017 e il 2021, in media, meno di 20 paesi all’anno avevano segnalato focolai», ha affermato Philippe Barboza, responsabile della squadra dell’Oms per il colera e le malattie diarroiche epidemiche. Una minaccia che cresce anche a causa dei cambiamenti climatici. «Eventi estremi come inondazioni, cicloni e siccità riducono ulteriormente l’accesso all’acqua pulita e creano un ambiente ideale per la crescita del colera». E mentre l’emergenza cresce, si registra una carenza di vaccini che “ha obbligato” l’International Coordinating Group (Icg), l’organismo che gestisce le forniture vaccinali d’emergenza a livello globale, «a sospendere temporaneamente la vaccinazione standard a due dosi, passando a uno schema a dose unica». «Una decisione eccezionale – sottolinea l’Oms – è necessaria un’azione urgente per aumentare la produzione globale di vaccini».
Secondo il sito web dell’Istituito superiore di sanità, il colera è un’infezione diarroica acuta causata dal batterio Vibrio cholerae. La trasmissione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione. Nel 75% dei casi le persone infettate non manifestano alcun sintomo. Tra coloro che invece li manifestano, solo una piccola parte sviluppa una forma grave della malattia. Nel trattamento del colera è fondamentale la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi con la diarrea e il vomito. La reidratazione orale ha successo nel 90% dei casi e deve essere intrapresa immediatamente.
Ma a prescindere da ciò, colpisce che ancora una volta per qualunque malattia potenzialmente diffusiva sia scattato l’allarme. Pare che dopo oltre tre anni di devastante martellamento da Covid-19 ci abbiano preso gusto: ad ogni nuovo caso di malattia di origine virale o batterica l’infernale meccanismo della paura torni ad allarmarci.