L’obiettivo è quello del 10% alle Europee. Fino a un mese fa questo traguardo per Forza Italia era impensabile. Poi c’è stato il voto in Sardegna. E soprattutto in Abruzzo dove Forza Italia supera il 13% e quasi doppia la Lega di Matteo Salvini. Un risultato che sorprende soprattutto gli osservatori esterni e gli alleati, molti dei quali dopo la morte di Silvio Berlusconi, davano ormai per spacciato il partito azzurro. Anzi, qualcuno già pensava a spartirsene le vesti. Invece Forza Italia è ancora lì. E a guardare i numeri sta piuttosto bene.
Tra i dati più significativi emersi dalle elezioni regionali in Abruzzo di domenica scorsa, vinte dal candidato della destra Marco Marsilio, c’è il buon risultato di Forza Italia, che ha ottenuto il 13,4% dei consensi e 77.800 voti. Dopo le elezioni sarde del 25 febbraio, quindi, quelle in Abruzzo consolidano il ruolo di Forza Italia come secondo partito della coalizione almeno nel Centro e nel Sud, e rendono più vicino l’obiettivo di superare la Lega anche sul resto del territorio nazionale a giugno, quando si voterà per le elezioni europee.
In Sardegna infatti Forza Italia aveva ottenuto il 5,5% con 43.100 voti. Meno di quello che aveva raccolto alle politiche del settembre 2022 (l’8,6% con 58.800 voti) e alle precedenti regionali del 2019 (l’8% con 57.5400 voti), ma abbastanza per superare la Lega, che aveva ottenuto appena il 3,7% (25.600 voti), in calo sia rispetto alle politiche del 2022 (6,3% e 42.800 voti) sia rispetto alle regionali del 2019, quando era in piena crescita in tutt’Italia e raggiunse sull’Isola l’11,4% con 81.400 voti. In Abruzzo questa tendenza si è confermata in modo ancor più netto, e non solo rispetto alla Lega, che col 7,6% e 43.800 voti ha ottenuto poco più della metà dei consensi di Forza Italia, ma anche rispetto ai precedenti.
I dirigenti di Forza Italia non a caso hanno esultato per questo risultato. L’analisi dei flussi dei voti indica che gli azzurri sono stati votati sia da elettori provenienti da altri partiti del centrodestra ma anche del centrosinistra, soprattutto dai renziani e calendiani ma anche da M5s. Tajani continua a ripetere che il suo obiettivo è coprire lo spazio che va da Giorgia Meloni a Elly Schlein. Un modo anche per evitare di irritare ulteriormente l’alleato leghista alle prese con una crisi che al momento appare irreversibile. Per la stessa ragione continua a ripetere che i risultati elettorali non avranno conseguenze sugli equilibri di governo.
Il report dell’Istituto Carlo Cattaneo, uno dei centri di ricerca italiani più autorevoli nell’analisi dei flussi elettorali, ridimensiona però questo entusiasmo, spiegando come non ci sia stato alcun «enorme balzo in avanti» e parlando piuttosto di una «lenta ripresa» di Forza Italia, che si è avvalsa anche di «candidati al Consiglio che trainano più dei candidati di altri partiti». Questo è un aspetto che va tenuto sempre in grande considerazione, quando si analizzano i voti locali. Sul loro esito influisce molto la capacità dei singoli candidati di costruire reti di relazioni e consenso personali e raccogliere preferenze anche al di là delle convinzioni ideologiche dei vari elettori, che votano appunto la persona più che il partito.
Diversamente dalle Europee dove il segretario Tajani scenderà in campo personalmente, come anche Meloni. Tajani sa bene che i voti raccolti a livello regionale risentono molto anche delle candidature locali mentre a livello nazionale il consenso è determinato soprattutto dal voto di opinione. Nulla però è dato per scontato. Quel che è certo è che il traguardo del 10% oggi non appare più a nessuno come una chimera.