Non è un Paese per democratici. L’assioma riferito alla Russia di Vladimir Putin viene confermata dalla draconiana intransigenza dello zar, deciso a schiacciare ogni forma di opposizione politica come quella guidata dall’antagonista di sempre, Alexei Navalny. Gli arresti ai manifestanti anti-Putin degli ultimi giorni rilanciano il tema dell’assenza di democrazia nella vicina Russia e la delicata condotta che l’Unione Europea dovrà seguire nei suoi confronti. Privilegiare i rapporti economici o porsi con ancora più forza come “soft-power” interessato a difendere con mezzi pacifici i valori della democrazia e dell’umanesimo occidentale nel mondo?
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IL PROFILO. Estremamente conosciuto dall’opinione pubblica Europea, Alexei Navalny lo è un po’ meno nel suo Paese, la Russia sempre più zarista degli ultimi anni. Il blogger e avvocato 41enne si batte da tempo per l’affermazione dei diritti civili in Russia come quello della libertà d’espressione o quello inerente la libertà del proprio orientamento sessuale in un contesto fortemente repressivo, ad esempio, nei confronti della comunità gay. Navalny è leader del Partito del Progresso e della Coalizione Democratica, rappresenta un segmento della popolazione russa mediamente molto giovane e attivo sul territorio nella difesa dei diritti civili nonché completamente delusi dalla politica tradizionale russa. Contro di lui Putin sta adottando la linea dell’indifferenza mediatica da un lato, non citandolo mai nei suoi interventi (quasi come il “tu-sai-chi” di “Potteriana” memoria), e una linea repressiva di fatto caratterizzata da arresti e processi di dubbia legittimità. Infatti, non è la prima volta che Navalny è stato fatto oggetto di misure restrittive o azioni giudiziarie mosse nei suoi confronti. L’antagonista di Putin ha subito un primo processo per appropriazione indebita nel 2013 poi dichiarato nullo dalla corte Europea dei diritti dell’uomo. Processo intentato nuovamente contro di lui qualche anno dopo e che gli è costato una condanna di 5 anni per supposte appropriazioni indebite di fondi pubblici nel periodo in cui svolgeva l’incarico di consulente per il governatore della regione russa di Kirov. Navalny si è messo a scrivere pezzi di quel verdetto su Twitter ancora prima che i giudici lo leggessero tutto per dimostrare che era uguale al precedente dichiarato nullo dalla corte Europea. In precedenza, nel 2014, sia lui che il fratello erano stati condannati per una supposta ruberia di 30 milioni di rubli (800mila dollari) ai danni di della società francese Yves Rocher. Navalny, che nella sua carriera politica si era anche candidato come sindaco di Mosca ottenendo il 27% dei consensi, ha sempre contestato la validità giuridica di questi processi a cui ha, invece, dato una lettura di natura politica. Non a caso, sono state proprio le condanne seguite ai processi di cui sopra ad avergli precluso la possibilità di sfidare Putin nelle ultime elezioni presidenziali in cui il blogger, per protesta, ha chiesto ai propri sostenitori di disertare le urne. L’attività di opposizione portata avanti dall’avvocato russo è stata spesso incentrata sulla lotta alla corruzione ed al malaffare che, a suo dire, imperverserebbe nelle alte gerarchie politiche e militari della Russia di Putin. Alcuni esempi di queste denunce sono la costruzione di una nuova e sfarzosa casa per il primo ministro, i contratti di tipo militare stipulati dal suo cuoco personale ed i viaggi in aerei privati per i cani di un importante funzionario.
LE MANIFESTAZIONI ANTI PUTIN. L’ultima iniziativa politica in ordine di tempo organizzata da Navalny inerisce alla manifestazione “Non è il nostro Zar” che ha avuto luogo in 90 piazze differenti del Paese. Alle proteste Putin ha reagito col pugno di ferro facendo arrestare ben 1600 persone, tra cui molti minorenni, e lo stesso Navalny per resistenza a pubblico ufficiale salvo poi scarcerarlo. Neanche la stampa è stata immune dalla repressione governativa, L’ong Ovd-Info fa sapere che a Mosca sono stati fermati i giornalisti Oksana Gandziuk, della tv d’opposizione Dozhd, EIlia Gorshkov e Aleksandr Antiufeev, di Daily Storm. I tre avevano al collo la “press card”. La radio Eco di Mosca riferisce del fermo del fotoreporter di Novaia Gazeta Mikhail Grebenshikov. Radio Liberty inoltre fa sapere che anche una sua collaboratrice è stata fermata. Non si è fatta attendere la reazione dell’Unione Europea con l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Federica Mogherini che si è espressa attraverso il suo portavoce. Gli arresti in Russia «minacciano le libertà fondamentali di espressione, associazione e assemblea. La detenzione di giornalisti minaccia anche la libertà di stampa anche se alcune delle manifestazioni non erano autorizzate, questo non può giustificare la brutalità della polizia e gli arresti di massa». «L’Ue si aspetta che le autorità russe rispettino pienamente gli impegni internazionali che la Russia ha preso in materia e che rilascino senza indugio i manifestanti pacifici ed i giornalisti», ha poi concluso lo stesso portavoce.