La Croazia ha avviato la procedura per l’adesione alla zona euro, che potrà permettere al Paese di aderire alla moneta unica. Lo ha annunciato la Banca nazionale croata (Hnb). Il governo guidato da Andrej Plenković spera di entrare nel Meccanismo di scambi europei (Erm II), detto “l’anticamera” dell’euro, entro la metà del 2020 e nell’eurozona nel 2023. A dieci anni dalla sua entrata nell’Unione Europea la Croazia vorrebbe completare il suo percorso adottando la moneta unica.
In una lettera relativa all’intenzione di adottare il meccanismo, firmata dal ministro delle Finanze Zdravko Maric e dal governatore della Banca nazionale Boris Vujcic e inviata ai Paesi della zona euro e alle istituzioni dell’Unione europea, come riporta Il Sole 24 ore, si spiega il piano di riforme che Zagabria intende attuare per raggiungere il suo obiettivo. La Croazia è entrata nell’Unione europea nel 2013 e negli anni più recenti ha fatto una serie di progressi per diminuire gli squilibri, uscendo nel 2017 dalla procedura di deficit eccessivo. Ad aprile il salario medio in Croazia risultava pari a 6.434 kunas (870 euro), con un tasso di disoccupazione all’8,5%. Secondo le autorità locali, l’adesione alla moneta unica porterà una serie di vantaggi per il Paese, considerando che l’80% dei depositi bancari è già in euro e che i suoi principali partner sono Stati della zona euro.
La Croazia non è l’unico paese dell’Unione Europea a voler entrare nell’euro: ci sono anche Bulgaria e Romania. Sul fronte opposto i dei membri del cosiddetto Gruppo di Visegrad, l’alleanza che raggruppa Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Alleanza che si fa sentire non solo sul tema immigrazione ma, dati alla mano, anche dal punto di vista della politica monetaria. Eccezion fatta per la Slovacchia che ha adottato l’euro nel 2009, gli altri erano tutti promessi sposi della moneta unica. Il 2010 doveva essere l’anno di Praga, il successivo quello di Varsavia e a stretto giro avrebbe dovuto seguire anche Budapest. In tutti e tre i casi, tuttavia, i sondaggi di opinione, sulla scorta anche dei tremendi esiti delle politiche europee di austerità, hanno spinto i rispettivi governi a rinviare il cambio di valuta a data da destinarsi.