«Buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate, come avviene la mattina, perché il pomeriggio è disponibile solo una blindata. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere poi, libero di essere ucciso la sera». È un racconto paradossale e a tratti drammatico quello che arriva dalla voce di Paolo Borsellino che in una audizione del 1984 racconta appunto le difficoltà del pool antimafia in quel periodo impegnato nel maxi-processo a Cosa nostra.
La commissione parlamentare antimafia presieduta da Nicola Morra ha recuperato tutte le parole di Borsellino a Palazzo San Macuto, pronunciate in varie audizioni, fra il 1984 e il 1991. Alcune audizioni era ancora segrete e sono state declassificate. Un archivio che è stato digitalizzato ed è confluito su un unico sito web all’interno del portale del Parlamento. «Tutto quello che avviamo oggi è un ulteriore segnale di democratizzazione del Paese», spiega il presidente della Commissione, Nicola Morra, presentando l’iniziativa in Senato. «Abbiamo ascoltato gli audio del 1984, registrati a Palermo, Borsellino già ragionava sulle difficoltà di portare avanti un processo con numeri enormi. Non sempre le sue richieste vennero pienamente soddisfatte. Con la sua ironia tipica il magistrato dice “sono libero di essere ucciso, siamo quattro a dover essere portati ma abbiamo una sola auto blindata”. Questi materiali che possono emotivamente risultare toccanti saranno messi nella disponibilità di tutti gli italiani».
Le parole di Borsellino non raccontano solo gli anni in cui la lotta alla mafia era fatta da una pattuglia di magistrati e investigatori. Raccontano anche le difficoltà del lavoro di magistrato che si trova a fronteggiare anche la mancanza di uomini e mezzi. Non a caso, nell’audizione dell’8 maggio del 1984 Borsellino affronta anche il tema della sicurezza personale e della gestione dei dispositivi di scorta, sottolineando alcuni evidenti paradossi. «Con riferimento al personale ausiliario – dice Borsellino – desidero precisare che non si tratta soltanto dei segretari e dei dattilografi, dei quali dovremmo avere garantita la presenza per tutto l’arco della giornata e non soltanto per la mattinata (perché non lavoriamo soltanto di mattina), ma anche degli autisti giudiziari, perché buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate, come avviene la mattina, perché di pomeriggio è disponibile solo una macchina blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà utilizzando la mia automobile; però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere, poi, libero di essere ucciso la sera».
Sono anni difficili: Tommaso Buscetta era stato da poco arrestato in Brasile (ottobre 1983), ma ancora non era stato estradato. E poi, dopo gli omicidi del commissario Boris Giuliano (21 luglio 1979), del giudice Chinnici, si era aperto un grosso problema: Cosa nostra aveva alzato il tiro, uccidendo gli esponenti dello Stato che davano la caccia a boss e killer. Ora che quegli audio sono diventati di pubblico dominio, fa impressione ascoltare la voce del giudice assassinato qualche anno più tardi raccontare come lui e gli altri colleghi debbano arrangiarsi e escogitare soluzioni pionieristiche per poter svolgere un lavoro di cui dovrebbe essere già chiara l’importanza e la pericolosità. Tra il 1984 e il 1991 Borsellino tornerà in altre cinque occasioni davanti all’Antimafia, sottolineando ogni volta i problemi e le difficoltà pratiche che i magistrati impegnati nel contrasto a Cosa nostra continuavano a incontrare. Un compito al quale il magistrato assassinato 27 anni fa non s’è mai sottratto, fino al momento il cui la mafia ha deciso di toglierlo di mezzo. Anche per questo, la desecretazione delle sue parole finora inedite rappresenta un omaggio al lavoro di Borsellino, oltre che un monito per non tornare mai più ai tempi in cui inquirenti debbano spiegare ai parlamentari di non essere in condizione di lavorare come dovrebbero.