Un comunicato di poche righe per annunciare che gli Stati Uniti ritireranno le proprie forze dal nordest della Siria in vista di un’operazione militare di Erdogan proprio in quell’area, con l’obiettivo di prendere il controllo dei territori dei curdi e stabilire una specie di “safe zone”, zona di sicurezza, tra il confine turco e i curdi siriani, che la Turchia considera terroristi e una minaccia alla propria sicurezza nazionale. Una nota che arriva dopo una telefonata tra il presidente Donald Trump, e il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan: «Le forze statunitensi non sosterranno né saranno coinvolte nell’operazione e le truppe Usa, che hanno sconfitto il califfato territoriale dello Stato islamico, non saranno più nelle immediate vicinanze», ha affermato la Casa Bianca senza fornire dettagli sull’operazione turca.
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Già lo scorso dicembre Trump aveva annunciato di voler richiamare a casa le truppe americane dalla Siria nonostante la contrarietà dei suoi consiglieri che non volevano abbandonare gli alleati curdi nelle mani di Erdogan e le dimissioni dell’allora ministro della Difesa Jim Mattis. Il timore, piuttosto fondato, è che è un ritiro delle truppe americane e l’attacco alle forze curde favorisca una risurrezione dell’Isis. Ma la Casa Bianca ha assicurato che la Turchia prenderà in consegna i combattenti islamici che sono attualmente nelle mani delle forze curde. Si tratta di circa 2.500 foreign fighter considerati altamente pericolosi e altri 10.000 catturati tra l’Iraq e la Siria.
Le Forze democratiche della Siria (Sdf), la coalizione militare che ha combattuto contro l’Isis insieme agli Stati Uniti e che è formata soprattutto dai curdi sirianici, replicano all’annuncio e in una serie di tweet diffusi nelle ultime ore non mancano accuse contro Erdogan sostenendo che un «attacco turco» rischierebbe di annullare i successi nella lotta all’Isis e di fare della Siria una «zona di conflitto permanente». Le Sdf affermano di aver rispettato gli impegni previsti «dall’accordo sul meccanismo di sicurezza, smantellando le fortificazioni militari tra Tell Abyad e Ras al-Ayn, ritirando le unità di combattimento con le armi pesanti» dalle zone lungo il confine con la Turchia. «Tuttavia – affermano – le minacce di Erdogan hanno come obiettivi quelli di cambiare il meccanismo di sicurezza in un meccanismo di morte, di fare sfollati tra la nostra gente e trasformare la regione sicura e stabile in una zona di conflitto e guerra permanente. Mentre la comunità internazionale cerca una soluzione politica per la Siria – aggiungono le Fds – il popolo siriano soffre da anni per la guerra».
Martedì il capo di Stato turco aveva dichiarato che la Turchia stava esaurendo la pazienza con gli Stati Uniti per la creazione di una zona di sicurezza nel nord della Siria, minacciando l’incombente un’operazione militare. «A questo punto, non abbiamo altra scelta che continuare sulla nostra strada», aveva annunciato Erdogan in un discorso televisivo. La zona cuscinetto sarà creata tra il confine turco e le aree siriane controllate dalla milizia curda delle Forze democratiche della Siria sostenute dagli Usa, sulle quali Washington fece affidamento per combattere l’Isis.
Per il momento non si hanno molte informazioni sulle reali intenzioni della Turchia, e soprattutto sui tempi di una eventuale invasione. Se le forze turche fossero già pronte per invadere il nordest della Siria, le Forze Democratiche Siriane avrebbero poco tempo per reagire e organizzarsi in maniera efficace. Secondo alcuni analisti, i curdi siriani potrebbero anche provare a cercare protezione altrove, ora che hanno perso quella degli Stati Uniti: potrebbero per esempio rivolgersi al regime siriano di Bashar al Assad e alla Russia, sua alleata.