Un raid statunitense sull’aeroporto di Bagdad ha ucciso il generale Qassem Soleimani. Secondo analisti ed esperti, l’uccisione di Soleimani cambierà in modo irreversibile i rapporti tra Stati Uniti e Iran: qualcuno ne ha parlato come di «un atto di guerra», con conseguenze potenzialmente enormi. E questo perché il 62enne Soleimani non era semplicemente a capo dell’apparato militare iraniano, da più di 20 anni guidava le Forze Quds, le forze speciali dei Guardiani della rivoluzione (corpo paramilitare islamico organizzatosi in milizie per la difesa e il sostegno delle istituzioni rivoluzionarie in Iran), bensì a tutti gli effetti il vero artefice della politica del suo Paese riguardo ai dossier più importanti: dall’Iraq, alla Siria, al Libano, al confronto con Israele, sino allo scontro con gli Stati Uniti. Tanto da essere il candidato più gettonato alle massime cariche dello Stato iraniano nel prossimo futuro.
Nato nel 1957 vicino alla storica città di Rabor, la sua infanzia la trascorse tra le montagne in una famiglia contadina. A 13 anni è operaio, quindi impiegato nella compagnia Kerman per la gestione del sistema idrico. Dopo la caduta della monarchia, Soleimani si avvicina all’Ayatollah Ruhollah Khomeini per poi unirsi ai Guardiani della rivoluzione. Si guadagna meriti e rispetto tra i militari per il suo diretto coinvolgimento nella lunga guerra con l’Iraq. Si distinse però anche per la sua opposizione a quelle che allora venivano definite le «morti senza significato»: le terribilmente celebri ondate di giovani combattenti mandati a correre sui campi minati verso le trincee nemiche per spianare la strada alle truppe corazzate. L’Iran perse oltre un milione di soldati. Si dice che allora egli cadde in disgrazia presso il presidente Hashemi Rafsanjani dal 1987 al 1989. Ma subito dopo venne nominato comandante delle forze Al Quds: il fiore all’occhiello delle truppe d’élite iraniane. Fu il suo trampolino di lancio verso i massimi vertici dell’apparato militare del suo Paese.
Negli anni Soleimani, grazie alla sua capacità di stringere relazioni, è diventato l’architetto di gran parte delle attività iraniane in Medio Oriente. Nel 2011 e nel 2014 Soleimani ha guidato le forze di Teheran nella guerra civile siriana e nel contrasto l’avanzata dell’Isis. Ma i suoi rapporti con l’amministrazione americana sono sempre stati difficili. Tanto che al Pentagono l’hanno sempre visto come un pericoloso avversario, mai come un alleato. Furono gli Usa a premere sull’Onu perché già nel 2007 venisse messo sulla lista delle persone da sanzionare. In seguito Soleimani divenne l’uomo chiave del sostegno iraniano al regime di Bashar Assad contro le rivolte scoppiate nel 2011.
Più volte venne dato per morto. Nel 2006 sopravvisse fortunosamente ad un incidente aereo dove persero la vita parecchi suoi collaboratori. Nel 2012 ancora se la cavò uscendo indenne dagli attentati contro i vertici militari siriani e tre anni dopo ancora sfiorò la morte nella battaglia di Aleppo. Questa volta però il suo decesso è confermato da Teheran. Il drone americano che ha sparato evidentemente era stato ben programmato. L’intelligence americana ha seguito con attenzione le mosse del generale iraniano sino all’ultimo. Le conseguenze però sono ancora tutte da valutare.