Secondo l’Oms, il contact tracing è un’arma importante nella fase 2 dell’emergenza coronavirus e tale è stata riconosciuta anche dall’ultimo Dpcm. L’Italia continua a lavorare alla app Immuni che non raccoglierà alcun dato di geolocalizzazione degli utenti, garantirà al massimo il rispetto della privacy, non sarà obbligatoria, non accederà alla rubrica dei contatti dell’utente e potrà essere scaricata gratuitamente su smartphone iOS e Android.
L’app, come tutte quelle che sono in uso o in preparazione in molti Paesi serve ad automatizzare, in qualche modo, il tracciamento delle persone che sono state in contatto con i positivi da coronavirus. In questo modo è possibile applicare misure di isolamento e tamponi con più precisione (solo a chi è a rischio contagio), invece di applicare un lockdown generalizzato.
Il modello italiano si appoggia a novità software già elaborate da Apple e Google : i due colossi californiani hanno dato agli sviluppatori indicati dai governi, compresi gli italiani di Bending Spoons, la prima versione delle Api (interfacce di programmazione) su cui si baseranno le applicazioni nazionali che hanno aderito alla loro iniziativa. La versione definitiva e gli aggiornamenti necessari sono attesi per il 15 maggio, data che dovrebbe coincidere con l’ultimo passaggio del Garante per la privacy e con il conseguente inizio delle sperimentazioni dell’app di due settimane in due o tre Regioni. L’obiettivo del ministero dell’Innovazione è di essere pronti a livello nazionale già per il 18 maggio.
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L’utente potrà poi installarla su smartphone iPhone e Android, ma per farla funzionare dovrà anche aggiornarne i sistemi, con un update in via di rilascio da parte di Apple e Google. È possibile che smartphone troppo vecchi, per cui non è previsto l’update, saranno esclusi quindi dalla novità. Come scritto nel decreto Giustizia e confermato più volte dal Governo, l’istallazione dell’App sarà «volontaria» e che il mancato uso non comporterà «alcuna limitazione o conseguenza con riferimento sia all’esercizio dei diritti fondamentali» sia alla «parità di trattamento», cioè non si sarà più liberi di muoversi se si ha l’app o meno liberi senza.
Ogni dispositivo dotato dell’app genera un proprio codice identificativo (Id) temporaneo, che varia spesso, anonimo e che viene scambiato tramite bluetooth con i dispositivi vicini. I cellulari conservano in memoria gli Id degli altri cellulari contattati e i metadati. Per ciascuno di questi contatti, l’app stabilisce un rischio contagio grazie a questi dati, con un algoritmo in via di affinamento. I cellulari a intervalli di tempo scaricano da un server, che da noi sarà a gestione pubblica, gli id dei cellulari di chi è risultato positivo a un tampone. Se l’app ritrova questo id all’interno della propria memoria con un livello di rischio giudicato sufficiente, fa apparire una notifica con un messaggio pre-impostato, a cura dell’autorità sanitaria. La notifica comunicherà che c’è stato un contatto rischioso e darà istruzioni (che potranno essere quelle di isolarsi e contattare i sanitari). Quello che succede dopo la notifica non è ancora chiaro. L’utente potrà chiedere e ottenere un tampone, tramite app o altri canali? In che modo potrà essere messo in contatto con l’autorità sanitaria? In che modo sarà gestito, e con quale tempestività? Le risposte sono fondamentali perché fanno la differenza tra un tracciamento contatti caotico, che può rivelarsi anche un boomerang, e un modello efficiente che davvero potrà limitare i contagi.