Se l’emergenza sanitaria costringerà le piazze e i locali a restare #senzamusica, la tradizionale Festa di benvenuto all’estate mai come quest’anno è tuttavia piena di suoni e ritmi da ascoltare a casa o in auto. In coincidenza anche con una anticipazione del Record Store Day, quello delle Major (la versione “indie” si svolgerà il 29 agosto, 26 settembre e 24 ottobre), questo 19 giugno 2020 sarà un venerdì da leoni con una messe di uscite discografiche di enorme interesse.
Rough and Rowdy Ways di Bob Dylan. Dopo aver indossato le vesti di Babbo Natale portando una strenna di canzoni natalizie, dopo aver inseguito le tracce di Frank Sinatra in un improbabile confronto vocale, il menestrello di Duluth, il rinnegato del folk, il profeta del rock, il Mister Tambourine Man, il settantanovenne performer del Never Ending Tour, si immedesima nel ruolo del Premio Nobel per la Letteratura. Questo disco è la perfetta “lectio magistralis” che Dylan si rifiutò di tenere durante la cerimonia di consegna, alla quale fece andare al suo posto Patty Smith, dicendo che aveva un impegno.
Rough and Rowdy Ways, ovvero “maniere ruvide e turbolente”, titolo che forse allude a un album di Jimmie Rodgers, uno dei padri del country (ripreso anche da una foto all’interno del disco), è una sorta di Bignami della cultura pop del Novecento. Dylan saccheggia la tradizione americana, da Woody Guthrie agli Eagles, da Charlie Parker ai Fleetwood Mac, da Muddy Waters all’Allman Brothers Band, tiene insieme i suoi eroi country e quelli blues, elenca luoghi, jazzisti, film, libri, poeti, politici, politicanti, farabutti, Anna Frank e Indiana Jones, suggerendoci, in una rara intervista rilasciata al New York Times, che più dei singoli nomi conta il metterli insieme, più del particolare importa la visione globale.
Dal punto di vista musicale, Rough and Rowdy Ways segna un ritorno alle origini, al Dylan degli inizi. Con l’eccezione di Key West, che riporta al suono di The Basement Tapes, il resto dell’album sembra radicato negli anni Cinquanta o precedenti. C’è un sacco di blues, mentre I’ve Made Up My Mind to Give Myself to You presenta tracce di doo-wop e di pop pre-rock’n’roll . L’ispirazione musicale di Goodbye Jimmy Reed è evidente dal suo titolo, ma dal terzo verso, Dylan non sembra parlare del bluesman titolare tanto quanto di se stesso quando è costretto ad affrontare le aspettative del pubblico: “Mi hanno lanciato tutto, tutto … non avevano pietà, non avrebbero dato una mano, non posso cantare una canzone che non capisco”, canta.
Dylan, come un novello Omero o un moderno Dante, va a rimescolare tra storia e ricordi con un sorriso ironico. My Own Version of You, in cui il protagonista si trasforma in una sorta di Frankenstein e si costruisce un amante con pezzi di cadaveri, è pieno di linee davvero divertenti tra riferimenti a Shakespeare, Omero, Bo Diddley e Martin Scorsese, nonché un curioso interludio durante il quale Freud e Marx sono raffigurati come “nemici dell’umanità” che bruciano all’inferno: “Per tutta l’estate a gennaio, ho visitato obitori e monasteri … se lo faccio bene e metto la testa dritta, sarò salvato dalla creatura che creo”.
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È un umorismo nero: se in Tempest (il suo ultimo album di inediti del 2012) prevaleva la furia omicida, questa volta aleggia una minaccia e una condanna imminente. Nel lento blues Crossing the Rubicon, si perde il conto dei riferimenti al giorno del giudizio, dell’Armageddon. Misteriosi e malvagi personaggi continuano a spuntare: “Sento le ossa sotto la mia pelle e tremano di rabbia, farò tua moglie vedova, non vedrai mai la mezza età”, canta. E considera le sue opzioni prima della morte: “Tre miglia a nord del Purgatorio – un passo dal grande oltre / Ho pregato la croce e ho baciato le ragazze e ho attraversato il Rubicone”. Ovviamente, informando bruscamente il mondo che tutto si sta trasformando in merda, che è stata una delle principali modalità del songwriting di Dylan per un quarto di secolo: è il filo che lega Not Dark Yet, Things Have Changed, Ain’t Talkin’ e Early Roman Kings a Rough and Rowdy Ways. Insomma, i tempi sono cambiati. Ma in peggio.
Homegrown di Neil Young. È quello che viene definito l’“album perduto”. Doveva far parte della “Trilogia del dolore” legata a un periodo drammatico per l’artista canadese: la separazione dall’attrice Carrie Snodgress, lo strazio per l’allontanamento dal loro sfortunato figlioletto Zeke, lo sconforto per la morte dell’amico fraterno Danny Whitten.
Homegrown doveva essere il terzo capitolo dopo il nervoso Time Fades Away e il tetro On the Beach. Neil Young, invece, gli preferì il cupo Tonight’s the night. Homegrown poteva essere ancora più pessimista? Secondo l’autore sì, tanto che non volle pubblicarlo perché troppo personale, troppo “nero” e perché avrebbe rivelato aspetti eccessivamente privati. «Un disco pieno di amore perduto», disse Neil Young, che oggi ha evidentemente trovato il modo di elaborare il lutto e fare pace con quel periodo di vita. Per atmosfere musicali e anche date di composizioni, Homegrown si piazza fra Harvest e Comes a time.
Rated Pg di Peter Gabriel. Il Record Store Day ci fa ritrovare l’ex Genesis, molto pigro nel suo lavoro. E, infatti, non si tratta di un nuovo album, ma di un disco che contiene alcuni dei contributi di Peter Gabriel alle colonne sonore di film. Non colonne sonore sue – come Passion o Long Walk Home – ma canzoni “prestate” al cinema. Si parte con That’ll do, dalla colonna sonora di Babe 2, per la quale ricevette anche la candidatura all’Oscar come miglior canzone, per finire con una delle sue più popolari composizioni, In Your Eyes, qui nella versione che Gabriel adattò alla soundtrack di Say Anything.
Tra le perle dell’album, Taboo, impreziosita dal compianto Nusrat Fateh Ali Kahn, una canzone dai toni scuri, pesanti, perfetti per Natural Born Killer di Oliver Stone, e Speak (Bol), realizzata con Atif Aslam per il film The Reluctant Fundamentalist. Nuova è Everybird, dal film d’animazione bosniaco Birds Like Us. Meraviglia l’assenza di The Veil, dal film Snowden.
Live At The Roundhouse di Nick Mason’s Saucerful Of Secrets. In cd e dvd le registrazioni dei live che la band dell’ex Pink Floyd ha tenuto nella leggendaria location londinese nel mese di maggio 2019. L’album cattura la vera essenza di un gruppo che fa rivivere la musica del primo periodo dei leggendari Pink Floyd, ovvero le canzoni degli album che hanno preceduto Dark Side Of The Moon, raramente eseguite in pubblico. Inizia tutto con le parole di Nick Mason: «Perché non troviamo una sala prove e suoniamo alcune cose e vediamo come ci troviamo?». Qualche mese dopo, domenica 20 maggio 2018, i Saucerful Of Secrets di Nick Mason riportano il batterista dei Pink Floyd nei club per la prima volta dal 1967: esordio a Dingwalls – Camden, Londra. La performance viene accolta con un enorme successo su tutta la linea. Tre sere all’Half Moon di Putney fanno poi seguito quella stessa settimana alla prima esibizione, e da lì l’annuncio del tour teatrale che avrebbe attraversato il Regno Unito, il Nord America e l’Europa all’insegna del sold-out. Registrato quasi un anno dopo da quella prima volta, l’album permette di ascoltare l’esibizione di una band che suona con gioia e passione, con potenza e trasporto. Dai primi passi della garage-band dell’era Syd Barrett con Arnold Layne e Vegetable Man al viaggio psichedelico di Interstellar Overdrive, allo spazio diluito dei Floyd di Atom Heart Mother e Green Is the Colour, i Saucerful of Secrets di Nick Mason sono un gruppo completamente immerso nella musica ed elettrizzato dalla voglia di far rivivere quei brani dimenticati da Roger Waters e David Gilmour, i due ex Pink Floyd più famosi.
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Un soffio al cuore di natura elettrica e Fleurs2 di Franco Battiato. In occasione del quindicesimo anniversario del concerto tenuto al Mandela Forum di Firenze il 17 febbraio 2005, viene pubblicato in vinile colorato blu l’album “live” uscito originariamente solo su compact disc. Contiene l’inedito Come Away Death, tratto dalla poesia di William Shakespeare “Dirge of Love”, classici come La cura, Voglio vederti danzare, Cuccuruccuccu, e alcune delle cover inserite nei primi due capitoli di Fleurs, il secondo dei quali viene anch’esso fatto uscire in vinile colorato con la bonus-track Tibet. In Fleurs2 Battiato duetta con Carmen Consoli, Antony (Antony And The Johnsons), Anne Ducros, Juri Camisasca e Sepideh Raissadar, voce dei Radiodervish.
Punisher di Phoebe Bridgers. A 12 anni pensava di essere il nuovo Bob Dylan, poi sulla sua strada incontrò Ryan Adams che le disegnò sonorità alternative-country sospese in un limbo gotico, quasi una risposta tutta al femminile del tardo Johnny Cash. Adesso la venticinquenne di Los Angeles svolta verso atmosfere più elettro-pop dai testi oscuri e meditabondi, che possono anche essere divertenti, spesso in modo sconcertante. Punisher è una raccolta di brani splendidamente lavorati che gettano un occhio nitido sulle assurdità della vita moderna. Nell’universo lirico di Phoebe Bridgers, i sogni che appaiono seducenti a distanza rischiano di cadere piatti nello spazio di un coro. “Volevo vedere il mondo”, canta animatamente in Kyoto. “Poi ho sorvolato l’oceano / E ho cambiato idea”. Mentre con Garden Song, sia nelle musiche, sia nel video, si avvicina a Billie Eilish, che è forse davvero il Bob Dylan del nuovo millennio.