Nella periferia romana di Tor de’ Schiavi all’interno della Chiesa del Ss. Sacramento si schiude al pubblico un piccolo scrigno di bellezza: la Cappella del Perdono interamente dipinta dal maestro Rodolfo Papa, artista e teorico dell’arte, che ha dedicato proprio all’arte sacra molte sue opere pittoriche in Italia e all’estero (dalla cappella di Gesù Nazareno nella Basilica di San Crisogono a Roma alla cappella della Eucaristica nella Cattedrale di Karaganda in Kazakistan) e molte sue riflessioni teoriche (“Discorsi sull’arte sacra” e “Papa Francesco e la missione dell’arte” editi da Cantagalli nel 2012 e nel 2016). Sulle pareti e sulla volta della Cappella si dispiega una innovativa lettura della Pentecoste commissionata dal parroco don Maurizio Mirilli (autore di “Un briciolo di gioia… purché sia piena” con premessa di Papa Francesco, ed. San Paolo, 2018) per dar risalto al quadro con la Madonna del Perdono, immagine su legno molto venerata nella comunità parrocchiale.
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Rodolfo Papa, ha affrontato la tematica biblica innovando la tradizione. L’uso del colore, dello spazio e dei simboli dell’iconografia cristiana proiettano subito chi entra in una dimensione spirituale. Con il maestro Rodolfo Papa abbiamo visitato in anteprima la Cappella del Perdono che sarà inaugurata nella chiesa parrocchiale Ss. Sacramento a Tor de’ Schiavi domenica 25 ottobre al termine della Santa Messa delle 12.
Un ciclo pittorico progettato e realizzato in piena pandemia tra le paure e le speranze contemporanee. Infatti, accanto agli elementi dell’iconografia tradizionale, Papa inserisce anche alcuni simboli del nostro tempo come una mascherina chirurgica. Una simile raffigurazione della Pentecoste, priva della colomba che solitamente ricorre, risulta come un’esperienza pienamente coinvolgente, oltre che una soluzione iconologica assolutamente unica nella storia dell’arte sacra.
Qual è il soggetto della Cappella?
«Il soggetto è la Riconciliazione. L’idea del parroco della chiesa del Ss. Sacramento Maurizio Mirilli è stata quella di produrre uno spazio in cui dare dignità al quadro della Madonna del Perdono, venerata nella comunità a partire dagli anni Sessanta, legandola ad un evento evangelico particolare che è la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli. Una volta scelto il soggetto, il mio compito è stato quello di elaborare un progetto che tenesse conto del dato storico, il dipinto mariano, e rappresentasse l’evento evangelico senza tralasciare l’idea stessa di comunità. Lo spazio architettonico, pur avendo creato tantissimi limiti, mi ha dato la giusta motivazione per una lettura innovativa della Pentecoste. Con delle piccole modifiche dello spazio a disposizione sono così riuscito a rappresentare, a livello teologico ed ecclesiologico, la dimensione terrena delle “pietre vive”, i fedeli che nel corso dei secoli hanno fatto la Chiesa, mediante la riproduzione della chiesa del Ss. Sacramento e della piazza antistante; la dimensione angelica e dei santi, rappresentata dall’immagine dei dodici apostoli riuniti nel Cenacolo; e la dimensione celeste data dalla discesa dello Spirito Santo. La pittura modifica l’architettura nella finzione della volta celeste: una luce quasi accecante squarcia il cielo e da questa si staccano altre sette piccole luci che rappresentano i doni dello Spirito Santo. L’idea è quella di avere un collegamento tra terreno e divino determinato dallo spazio architettonico al cui centro posizionare mediante un sapiente gioco prospettico due angeli che incorniciano il dipinto su tavola della Madonna del Perdono».
Come risolve le difficoltà legate allo spazio architettonico?
«Lo spazio architettonico, come detto in precedenza, diventa di grande stimolo per la composizione. La presenza di una volta appena accennata, di pareti verticali molto lunghe, di due finestre laterali avrebbe potuto rendere la composizione dispersiva andando a separare l’unità dello spazio. Ma questi limiti sono diventati opportunità. Opportunità di raccontare l’evento della Pentecoste in maniera innovativa lavorando da pittore, ma con una coscienza da architetto. Tutta l’architettura diventa così un grande vuoto, un immenso cielo idealmente suddiviso in uno spazio terreno e uno spazio celeste che si estende fino alla volta costruita in modo tale da sembrare una cupola come quella del Pantheon con un occhio centrale dal quale si irradia lo Spirito Santo. Si viene così a creare uno sfondamento della struttura architettonica: tutte le pareti si annullano per diventare una struttura circolare, una cupola che come nella storia dell’arte rappresenta la volta celeste. Ho, quindi, utilizzato la prospettiva per creare uno spazio che prima non c’era. Il senso dell’illusione ottica che crea volumi e profondità si può vedere anche nelle pareti laterali, dove le finestre strette e alte si tramutano in edifici sui quali sono addirittura appollaiati due uccelli, il pavone da un lato e il pappagallo dall’altro, che in qualche modo richiamano i giochi prospettici dell’architetto Aldo Rossi. Si costruisce così una architettura completamente rovesciata che riesce a dare all’intera cappella una dimensione spirituale».
Ha citato l’architetto Aldo Rossi, ci sono altri modelli a cui ha fatto riferimento durante le fasi di studio, progettazione e realizzazione della Cappella del perdono?
«Ogni artista ha un proprio bagaglio culturale, un proprio mondo di riferimento che riaffiora in ogni produzione. E il mio è onnicomprensivo. Nella realizzazione della Cappella del Perdono ho guardato contemporaneamente, lasciandomi ispirare, a Dalì e Tiziano, a Giotto e Magritte. La gamba a penzoloni di San Giacomo Maggiore rievoca la figura femminile seduta in una posizione simile nella raffigurazione di Pontormo dedicata a Vertumno e Pomona nel salone della Villa medicea di Poggio a Caiano. Così come l’uso della luce emanata dalla Spirito Santo che illumina la chiesa del Ss. Sacramento che si trova nel registro inferiore della Cappella è un chiaro riferimento a “Empire of light” di Magritte. L’elemento del cielo incombente rievoca “Ultima cena” di Salvador Dalì. E ancora la composizione di una parte del gruppo degli Apostoli nella parete frontale ricorda l’Assunzione di Tiziano. Spesso per fare passi in avanti è necessario affondare nelle lunghe radici dell’arte. E basta la semplice risemantizzazione dei segni per riuscire ad innovare l’iconografia cristiana».
Come è giunto a realizzare un vero e proprio rinnovamento iconografico nella Cappella del Perdono?
«L’aspetto dell’innovazione iconografica è una costante nella mia vita. Nell’arte la specializzazione dei saperi, avvenuta negli ultimi trecento anni, ha prodotto una dispersione del sapere stesso. Essere storico dell’arte non basta, avere competenze tecniche neppure. Così come non basta essere filosofi dell’arte, esperti di estetica o teologia. La frammentarietà è il dramma dell’arte contemporanea, ed è per questo che ho dedicato il lavoro di una vita alla conoscenza dell’arte in tutte le sue parti. Solo così è possibile far fare un progresso all’arte. L’innovazione nella tradizione cristiana deve partire dai principi. Non è recuperando gli stili o le icone del passato, ma ritrovare il rapporto tra sistema d’arte e fede può dare nuovo impulso all’arte contemporanea. Si parte, dunque, da uno studio iconografico delle opere degli artisti cristiani, dall’anno zero ad oggi, e da lì si costruisce una nuova relazione tra segno e significato. Questo produce una disciplina che si chiama iconoteologia, a cui ho dedicato moltissimi studi. C’è una relazione profondissima tra segno e significato che può essere rielaborata per innovare l’iconografia cristiana. Possiamo, ad esempio, riprendere elementi utilizzati da Raffaello per rafforzare il loro valore originario o per dargli nuovo significato. La risemantizzazione del segno rende il linguaggio dell’arte vivo. Una volta che abbiamo imparato a leggere l’arte del passato siamo anche in grado di scrivere l’arte nel presente».