Pennsylvania, Georgia, Nevada, Arizona e North Carolina. Sono già trascorsi tre giorni dall’Election Day e il futuro degli Stati Uniti passa attraverso questi cinque Stati, alcuni veri e propri battleground State, altri in attesa venga ultimato lo scrutinio dei plichi contenenti il voto postale. E dopo le esaltanti rimonte del candidato democratico Joe Biden in Wisconsin e Michigan, la storia si sta già ripetendo.
Perché, se fino all’altro ieri, appariva clamoroso il vantaggio di Donald Trump, pronto ad assicurarsi i 20 voti dei grandi elettori della Pennsylvania con 700.000 voti popolari di vantaggio sul contendente e i 16 della Georgia con oltre 70.000 di scarto, nelle ultime ventiquattro ore il vantaggio si è praticamente eroso fino a presentare uno scarto irrisorio di appena 18.000 voti nello stato operaio e storicamente democratico, in cui Biden era dato favorito di 6 punti, e a sancire il definitivo sorpasso proprio in quella Georgia che dal 1996 vota sempre e solo repubblicano. La partita si gioca proprio tra le contee blu di Clayton, Gwinnett e Cobb, e quelle rosse di Laurens, Forsyth, Floyd. Nel “Peach State” si è mobilitata anche la comunità afroamericana di Clayton, che fa parte del distretto natale di John Lewis, l’icona liberal dei diritti civili morto nel luglio scorso. Eppure, proprio il voto postale si sta rivelando essere l’ago della bilancia: secondo il Washington Post sono, infatti, oltre 150.000 i voti postali che non sono stati consegnati entro il 3 novembre e oltre 12.000 delle schede non giunte in tempo arrivano dagli Stati ancora in bilico. Se in Arizona e Georgia le schede giunte in ritardo non sono considerate valide, negli altri tre Stati in bilico – North Carolina, Pennsylvania e Nevada – vengono contati tutti i voti postali con data 3 novembre o precedente.
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Ma fatta eccezione per il Nevada (6), Stato democratico in cui il saldo vantaggio di Biden si sta andando tuttavia assottigliando nel corso di uno spoglio a dir poco flemmatico, Trump deve vincerli tutti e quattro per confermarsi presidente. Dal canto suo, allo sfidante, dopo le vittorie in rimonta e di misura, basterebbero le conferme di Arizona (11), ancora “too close to call” – troppo incerto per essere assegnato con lo spoglio al 95% – e Nevada per toccare la quota dei 270 necessari all’elezione: ma, se nel primo Stato – che vota repubblicano dal 1952 salvo l’eccesione del ’96 di Clinton – nel 2016 Trump vinse 51 a 45, la vera sorpresa è proprio il sorpasso in Georgia, con lo spoglio già al 99% e i voti determinanti dell’area metropolitana di Atlanta, ma soprattutto quello potenziale in Pennsylvania, “Keystone State” dove è nato Joe Biden e dove quattro anni fa i repubblicani la spuntarono per un pugno di voti. E ancora una volta si stanno rivelando decisivi i voti delle aree urbane più abitate, storicamente democratiche, della città metropolitana di Philadelphia e di Pittsburgh. È con queste premesse che si potrebbe rivelare irrilevante l’esito che arriverà per ultimo, quello del North Carolina che, fatta eccezione per l’elezione di Obama del 2008, vota repubblicano dal 1980 e che vede Trump ancora nettamente in vantaggio di circa 75.000 voti. È, a questo punto, probabile che i principali network aspettino solo che Biden superi il contendente nel conteggio parziale in Pennsylvania per chiamare lo Stato e la presidenza al candidato democratico. Sembra ormai solo questione di tempo. Riducendo il novero a Nevada, Georgia, Pennsylvania e Arizona, ci sono in ballo 53 voti, che non gli sarebbero semplicemente sufficienti per ipotecare la Casa Bianca ma renderebbero anche consistente e poderosa la vittoria di Joe Biden che, con lo spoglio ancora in corso, è già entrato di diritto nella storia: è il candidato alla presidenza che ha conquistato più voti su base nazionale nella storia delle elezioni presidenziali americane, precedendo Barack Obama e la mancata Mrs. President Hillary Clinton.
Tre notti senza ancora un vincitore ma con la proiezione di un risultato che si va via via delineando. Lo sanno entrambi i candidati, che sperano e attendono conferme. Parla già da presidente vero Joe Biden che, in conferenza stampa a Wilmington, Delaware, mette da parte la proverbiale prudenza e dichiara di non avere dubbi che, quando il conteggio dei voti sarà ultimato, lui e Kamala Harris saranno dichiarati vincitori. Invita gli elettori a mantenere la calma e chiosa “in America il voto è sacro, ogni voto va contato. Grazie a tutti per la pazienza”. Non si fa attendere la replica di Trump: “Se contiamo i voti legali sto vincendo io. Non c’è stata l’onda blu prevista dai sondaggi ma un’onda rossa. Il partito repubblicano è diventato il partito della classe lavoratrice”. Salvo poi denunciare – senza fornire alcuna prova concreta – frodi, brogli, corruzione e poca trasparenza nello spoglio, nei conteggi e nel voto postale. “Non permetteremo a corrotti di rubare queste elezioni” tuona con una retorica coerente ai toni del suo mandato il Presidente in carica, che ribadisce la controversia legale sulle elezioni finirà alla Corte Suprema, anche alla luce degli osservatori repubblicani che – a suo dire – si sono visti negare l’accesso ai seggi di Philadelphia e Detroit.
La campagna di Trump ha comunque già avviato un’azione legale in Nevada, contro presunte irregolarità nel controllo e nella verifica dei voti. “Il nostro obiettivo è proteggere l’integrità delle elezioni, non consentiremo che ce le rubino, che i nostri elettori siano silenziati”. Se la CNN è andata avanti nel collegamento col sottopancia che recitava “without any evidence”, il network tv di Abc, Cbs e Msnbc lo ha interrotto quando il Presidente ha falsamente rivendicato nuovamente di aver vinto le elezioni, con l’anchor Brian Williams che si è quindi rivolto ai telespettatori: “Ci troviamo non solo nella posizione inusuale di interrompere il Presidente degli Stati Uniti, ma di correggere il Presidente degli Stati Uniti”. Replica poco dopo su Twitter anche Joe Biden: “Nessuno ci porterà via la nostra democrazia. Nè ora nè mai. L’America è andata troppo avanti, ha combattuto troppe battaglie e ha sopportato troppo per lasciare che questo accada”.
Trump tiene il punto e, portando avanti la crociata contro le presunte elezioni truccate, prosegue l’offensiva ma smette di invocare l’interruzione dello spoglio: una significativa virata, forse consapevole del fatto che, se lo scrutinio si interrompesse adesso, Biden avrebbe già strappato il ticket per Washington D.C. Invocando la frode elettorale, The Donald continua a dichiararsi il vincitore di queste elezioni, tenendo conto esclusivamente dei voti scrutinati in suo favore nella notte dell’Election Day. Il ricorso a un’ “orientata” Corte Suprema è l’ultima carta in mano al Presidente, con esiti per nulla scontati, considerando che è stato lo stesso organo giudiziario a respingere prima dell’Election Day il tentativo di fermare l’estensione del conteggio dei voti in Pennsylvania e North Carolina. L’appuntamento al 14 dicembre, con l’elezione formale del presidente da parte dello US Electoral College che riunisce i 538 grandi elettori, si fa per Joe Biden sempre più vicino. Nonostante il clima di tensione circa l’esito delle urne che ha fatto ripiombare New York, Phoenix e Detroit nel turbine delle manifestazioni di protesta che preoccupa non poco forze dell’ordine e Guardia Nazionale. Il Secret Service ha, tuttavia, già inviato rinforzi a Wilmington, in Delaware, per aumentare la protezione di Biden e della sua famiglia. Chiaro segnale che il candidato democratico è ormai pronto a tenere il discorso della vittoria nella corsa alla Casa Bianca, forse già nelle prossime ore.