“Farei qualsiasi cosa per farti uscire dalla tua stanza / È così crudele quello che la tua mente può fare senza motivo”, canta Arlo Parks in Black Dog, primo singolo dell’album Collapsed in Sunbeams, in uscita il 29 gennaio. Una canzone nata durante il lockdown, il ritratto empatico di un amico impantanato in una profonda depressione. È stata pubblicata all’inizio dello scorso maggio ed è diventata una sorta di inno dell’era pandemica. Con una tragica conclusione: l’amico che ha ispirato la canzone è morto suicida. «Ricevere messaggi da fan che erano davvero soli e che dicevano che canzoni come Black Dog li avevano calmati e li hanno fatti sentire al sicuro, mi hanno davvero riscaldato lo spirito», commenta oggi.
Arlo Parks, ventenne londinese cresciuta nel quartiere di Hammersmith, ancora oggi vive in casa con i genitori, in una stanzetta da teenagers, sulle cui pareti bianche campeggiano i poster di Jimi Hendrix, David Bowie e MF Doom. Anche nelle sue canzoni mostra un eclettico miscuglio di influenze: Jill Scott, i Cure, Joan Armatrading, Tricky, Radiohead dei quali ha registrato una struggente e stupenda versione pianistica di Creep, il poeta di Instagram Nayyirah Waheed e l’innocenza straziante dei film d’anime dello Studio Ghibli come Princess Kaguya o Howl’s Moving Castle, dei quali Arlo è una fan. «Penso che alcuni dei temi siano penetrati inconsciamente nella mia scrittura».
Quando nel 2018 si presentò a casa del produttore Luca Buccellati ancora non era Arlo Parks, pseudonimo rubato dall’etere cercando qualcosa di un po’ più breve del suo nome di nascita, Anaïs Oluwatoyin Estelle Marinho (“Isa” per gli amici). Fu ispirata dai nickname di due artisti che ammira profondamente, King Krule e Frank Ocean. «Mi sembrava forte e un po’ androgino, cosa che mi è piaciuta», ha spiegato la ragazza proveniente dal West End londinese.
Quel giorno Buccellati stava provando The Breakup Song, una canzoncina con testi sciocchi. Quando Parks è arrivata, l’ha suonata per lei, immaginando che avrebbe fatto da rompighiaccio suscitando le sue risate. Lei, invece, ha risposto seria: «Dammi cinque minuti». Ha rapidamente annotato i testi, registrato sia la voce solista sia quella armonica e, dopo quindici minuti, aveva trasformato quel divertissement in Cola, un’istantanea semplice, ipnotica e realistica su un rapporto in crisi. La canzone, la prima di Parks, da allora è stata trasmessa in streaming più di 15 milioni di volte su Spotify.
«Sembra che lei canti sempre per te, anche se racconta storie su se stessa e sui suoi amici», ha detto Paul Epworth, un produttore che ha lavorato con Adele, Florence and the Machine e Coldplay, e che ha prodotto due tracce dell’album di debutto di Arlo Parks. «Penso che durante questo periodo di distanziamento fisico e sociale, in cui lo spazio tra le persone è così pronunciato e il caos può essere travolgente, le canzoni toccano una parte specifica e vulnerabile delle persone», spiega la ragazza londinese.
L’anno scorso il talento di Arlo era pronto per sbocciare. Poi la pandemia ha affondato il suo tour negli Stati Uniti, come apertura per Hayley Williams dei Paramore, ed i progetti per il debutto discografico. Fortunatamente, il suo profilo è comunque cresciuto, aiutato dal sostegno di un gruppo di ammiratori eccellenti tra cui Billie Eilish, Wyclef Jean e Michelle Obama. Cola è stata protagonista della celebre serie della HBO I May Destroy You di Michaela Coel e la stessa Parks ha recitato in un episodio di Ouverture of Something that Never Ended, una miniserie co-diretta da Gus Van Sant per Gucci.
Collapsed in Sunbeams prende il titolo da una frase del libro di Zadie Smith On Beauty. L’album è stato scritto e registrato in gran parte durante la pandemia, ma le canzoni sono state ispirate dalla rilettura di un diario che Arlo Parks ha iniziato a tenere quando aveva 13 anni. «L’intero album è basato sul mio diario», ha detto. «È una capsula del tempo dell’adolescenza».
La tavolozza sonora è più ampia rispetto ai primi singoli, gli arrangiamenti sono più pieni, i ritmi un po’ più vivaci. Ma è la sua attenzione come narratrice che spicca. In Eugene brucia di gelosia perché la migliore amica per la quale ha una cotta si è innamorata di un ragazzo. “Gli suoni i dischi che ti ho mostrato / gli hai letto Sylvia Plath / ho pensato che fosse la nostra cosa”, canta. Arlo Parks, che è bisessuale, esamina le relazioni fallite con generosità disarmante e un tocco leggero. Green Eyes, ispirata dal poema di Pat Parker, My Lover Is a Woman, racconta di un ex amante che “non poteva tenermi la mano in pubblico”, ma lo fa senza rancore in un ritmo arioso e mescolato.
Nonostante il velo di tristezza che incombe su molte delle canzoni, l’album è una celebrazione delle persone che ci liberano dalle battaglie quotidiane con la disperazione. Descrive un universo in cui l’amore, la lussuria, l’alcol, la gelosia, la tristezza e, soprattutto, le persone con cui condividere tutte queste cose, sono il vero cuore della vita, e non solo merci che scompaiono intraviste attraverso lo schermo di un laptop.