Senza aver mai pubblicato il suo primo album, Celeste da due anni colleziona recensioni entusiastiche, copertine e premi. Salutata dai critici come la nuova Billie Holiday, è amata da celebrità come sir Elton John e il regista Spike Lee, che dopo un concerto le chiese un autografo, ed è corteggiata da Finneas, il fratello produttore di Billie Eilish, col quale ha realizzato il singolo I Can See the Change. Con queste premesse, è ovvio che Not Your Muse, il disco d’esordio che esce il 29 gennaio, diventasse un evento attesissimo. E le promesse sono state mantenute: Not Your Muse è uno di quei dischi che non si ascolta da tempo, per classe, raffinatezza, vivacità, emozioni. E per Celeste tutti i paragoni sono validi: da Billie Holiday a Joan Armatrading, da Nina Simone a Sade, da Sarah Vaughan a Shirley Bassey, da Ella Fitzgerald ad Amy Winehouse, ma senza bottiglia di alcol fra le mani.
Nata in California 26 anni fa da padre giamaicano e madre inglese, Celeste, al secolo Celeste Epiphany Waite, si trasferì nel Regno Unito dopo la separazione dei suoi. Aveva tre anni quando fu accolta nella casa dei nonni materni. Scuola di danza in tenera età, una passione per la moda mai sopita («Era il mio piano B», rivela) e un nonno che l’ha cresciuta con una dieta di jazz e soul: «I primi ricordi? A cinque anni. C’erano canzoni che mi entusiasmavano. Mia madre era un’appassionata, un’entusiasta direi; mio nonno aveva una vasta collezione di dischi degli anni Cinquanta e Sessanta, dallo swing alla Motown. Le voci che più mi toccarono furono quelle di Ella Fitzgerald e Nina Simone. Con Otis Redding fu amore a prima vista. Cominciai a scoprire il blues di Howlin’ Wolf e Muddy Waters, le malinconiche ballate di Billie Holiday e Chet Baker, il jazz spaziale di Alice Coltrane. Mi affascinavano per le loro musiche e il mondo che ruotava intorno. L’ispirazione, la straordinaria capacità di comunicare, lo spessore delle interpretazioni, anche il carisma, il modo di vestire o di farsi fotografare, le copertine dei loro dischi. Anche il cinema mi ha influenzato, lo stile di certe dive hollywoodiane – pensavo a Hitchcock mentre scrivevo la canzone Strange – o certa letteratura, Dickens ad esempio». Poi confessa la sua preferenza: «Nina Simone è la risposta a tutte le mie paure, non ha mai tradito, indifferente al giudizio degli altri, completamente al servizio della musica. Ha sfidato l’industria ed è stata spietatamente ferita».
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Capelli afro, sorriso largo e luminoso, domina la scena, dal suo metro e ottantadue di altezza, con la naturalezza e il carisma di una performer consumata. A causa dell’emergenza sanitaria è stata costretta a rinviare ogni progetto. «In questi giorni ho avuto più tempo per pensare a che cosa fare con la mia musica e, sebbene le mie canzoni nascano sempre dal contatto con gli altri, ho lavorato molto via Skype: è andata bene, considerando che c’era uno schermo di mezzo», spiega. «Nonostante le notizie orribili che arrivano ogni giorno, questi ritmi li accetto: è come essere tornati indietro nel tempo, le persone stanno rivalutando cose e aspetti delle loro vite che avevano trascurato a lungo». Vuole restare ottimista e mandare un messaggio di speranza: «Vedo quello che accade da voi in Italia, come in Gran Bretagna e in altri Paesi, e provo molta empatia per chi soffre. Siate forti: non sappiamo quando, ma arriverà il giorno in cui potremo ritrovarci di nuovo insieme, scendere in strada e abbracciarci. E sarà davvero la cosa più bella del mondo».
Not Your Muse contiene dodici canzoni, nove inediti più i singoli già pubblicati lo scorso anno: la malinconica Strange, A Little Love e la potente Stop This Flame (sigla di Sky Sports Premiere League). Un album dai sapori antichi, ma con una produzione postmoderna dove personalità meno forti sarebbero potute cadere nella trappola di un’emulazione retrò. Fortunatamente, Celeste è stata benedetta da una voce ottusa che può trasformare anche i sentimenti banali in dichiarazioni potenti. Potrebbe avere il cuore spezzato, ma usa quel dolore, torcendo le cicatrici emotive per adattarle alle sue canzoni. Le canzoni ammaliano per l’intimità, per poi esplodere con il potere della sua voce in una euforia da brivido. La sua voce accarezza, graffia, strega. Celeste richiama il suo pieno potenziale nel soul, blues, gospel, R&B e pop. Travolgente in Tell Me Something I Don’t Know, fluttuante nell’orchestrale Not Your Muse, si lancia in strabilianti acrobazie vocali tra i violini di Beloved. Se Love Is Back è senza dubbio una delle canzoni soul più forti dalla scomparsa di Amy Winehouse, A Kiss e Some Goodbyes Come With Hellos sono due dolci ballate interpretate con estrema sicurezza e maturità. La qualità degli arrangiamenti e la voce di Celeste stupiscono di canzone in canzone. Ogni traccia spicca e tutte insieme trasformano l’album in una gemma preziosa.