Al Festival numero “70+1”, che passerà alla storia come il Sanremo al tempo del Covid, i protagonisti sono i precari della musica, le vittime del lockdown. Tranne quei pochi che possono cullarsi sui fasti del passato o su visualizzazioni milionarie, la maggior parte dei Big in gara sono giovani poco conosciuti al grande pubblico e che finora hanno affollato l’undeground, preferendo il buio di piccoli e fumosi locali alle abbaglianti luci della ribalta televisiva. Cantautori, musicisti, rapper, band che vivono mangiando chilometri e panini all’Autogrill, saltando da un palco all’altro a prezzi popolari. La tappa all’Ariston, unico teatro aperto nel Paese, è l’occasione per recuperare una stagione grama di guadagni e di applausi con il repackaging dell’album uscito durante il periodo di clausura e per garantirsi quella manciata di concerti che i divieti e le regole per l’emergenza sanitaria permetteranno in estate. Pur di suonare, si accontenteranno di un piccolo spazio e di una platea ridotta: un Palasport, d’altronde, gli starebbe troppo largo.
LEGGI ANCHE: Perché Sanremo 2021 non sarà Sanremo
“Questa è l’Italia del futuro: un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte”, denuncia Willie Peyote in Mai dire mai (La Locura), descrivendo lo stato della musica: “Siamo giovani affamati, siamo schiavi dell’hype / Non si vendono più dischi tanto c’è Spotify”. Intelligente, trascinante, divertente, provocatoria, contraddittoria per certi versi, visto la partecipazione al Festival, fra rap e melodia, la canzone fa riferimento nel titolo a un incisivo monologo della serie tv Boris: «Parla di come ci siamo ormai abituati a mettere al primo posto il mero intrattenimento, in tutti i campi, dall’arte alla cultura, passando per lo sport e arrivando anche alla politica», spiega il rapper e cantautore torinese, all’anagrafe Guglielmo Bruno. «Avere un personaggio che funziona è più importante che avere talento, avere il consenso è più importante che avere un programma, far parlare di sé è più importante che avere qualcosa da dire. Anche in pandemia “the show must go on”, quindi si gioca lo stesso anche con gli stadi vuoti, teatri chiusi e concerti annullati, ma con gli streaming e i talent show la giostra sembra continuare a girare». Voto: 8 (applaudita durante l’ascolto)
I pre-ascolti
La cappa del Covid sembra pesare su molte delle canzoni in gara al Festival (dal 2 al 6 marzo) e che ieri sono state presentate in anteprima ai media nelle sedi Rai di Roma e Milano. Ne influenza il mood: la malinconia e la tristezza avvolgono la maggior parte dei brani.
È il caso di Colapesce e Dimartino. Siracusano il primo, palermitano il secondo, sbarcano da alieni all’Ariston dopo quindici anni di gavetta nel mondo indie e concerti nei peggiori locali della provincia italiana. Il loro incontro ha prodotto l’album I mortali, osannato dalla critica, al quale però l’epidemia ha tarpato le ali. La Musica leggerissima del titolo della stupenda canzone con cui sono in gara è quella sulla quale sperano che il loro album possa tornare a volare alto. “Metti un po’ di musica leggera nel silenzio assordante / per non cadere dentro al buco nero che sta ad un passo da noi”, cantano su una movimentata base ritmica nel refrain di un brano che esce dai canoni del sentimentalismo sanremese, pur affondando le radici nella storia della migliore canzone d’autore. «Il cuore del testo parla di depressione. È un tabù, ancora di più oggi in un periodo in cui tutti vogliono sembrare splendidi sui social. E invece è importante riconoscere i momenti bui». Nel testo c’è una tensione interiore e anche l’ombra della pandemia. «Le cose più intime sono anche le più universali. Per me è stato un anno buio e non mi vergogno a dirlo. Lo è stato a prescindere dal Covid, ho vissuto una mia situazione delicata. E chi lo ha detto che l’artista deve sempre essere sorridente? Però ci vedo anche qualcosa che va oltre il personale e richiama un nuovo Ciclo dei Vinti di Verga», confessa Colapesce. Voto: 8 (applaudita durante l’ascolto)
Se Colapesce e Dimartino hanno un approccio esistenziale con l’incubo pandemico, Max Gazzè l’affronta in modo ironico. Ritornando sui passi del “timido ubriaco” e delle ambientazioni balcaniche, tra divertissement e denuncia sociale, il cantautore romano (con papà di Scicli) presenta Il farmacista, scioglilingua che sembra alludere alla confusione odierna sui rimedi per affrontare il contagio e sui ruoli. Il testo contiene una smisurata quantità di medicine e il protagonista è una sorta di scienziato pazzo che si presenta con la frase di Frankenstein Junior: “Si può fare!”. Sul palco dell’Ariston si farà accompagnare dalla Trifluoperazina Monstery band. Voto: 5,5
L’influenza della quarantena si avverte in Fiamme negli occhi dei Coma_Cose, canzone da spiaggia del futuro: parte da una chitarra acustica e poi subentra un vestito contemporaneo con batterie elettroniche e suoni sbiaditi alla Velvet Underground. “Grattugio le tue lacrime / ci salerò la pasta” cantano, surreale descrizione per descrivere la quotidianità deformata dal lockdown. «L’abbiamo finita in estate e forse per questo il sound ha un’apertura da lieto fine…», raccontano Fausto Zanardelli e Francesca Mesiano, ovvero Coma_Cose, coppia artistica e nella vita, che si muove fra rap, elettro-pop e nuovo cantautorato. «Il nome viene dal ricordo di un momento di crisi artistica e dal guardarsi attorno e non vedere fermento sociale. Nel frattempo, noi siamo usciti dal coma e ci è cambiata la vita, mentre il coma si è allargato al resto», spiegano con ironia. Voto: 6
I debuttanti
Di voglia di rinascita e della necessità di amare canta in Amare la queer band Rappresentante di Lista nata nel 2011 dall’incontro tra Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina. Lui palermitano, lei toscana, entrambi attori teatrali, scrivono a quattro mani testi e melodie. Il brano, un pop ostico, trasversale, prodotto da Dardust, farà parte del quarto album della band, My Mamma: «Un disco libero, fluido, accogliente e pieno di spigoli, irruento», spiega Veronica Lucchesi. «Gli arrangiamenti sono nervosi, nulla è lasciato al caso. I generi si mischiano, le parole sono dette davvero, sono confessioni, preghiere, inni di appartenenza». Voto: 6
Se per Veronica Lucchesi non è un debutto assoluto (l’anno scorso duettò con Rancore nella serata delle cover), è invece all’esordio Madame, diciannovenne vicentina registrata all’anagrafe con il nome di Francesca Calearo. Arriva dal mondo rap/urban, ma fino a pochi anni fa guardava Sanremo sul televisore dalla poltrona di casa insieme con la famiglia. Presenta Voce, una canzone deludente, lontana anni luce da quella Sciccherie che l’ha lanciata: un trap melodico sull’amore lesbico che «è un invito a trovare la propria voce, la propria identità, nel casino che ci circonda. È una preghiera, anche a me stessa», spiega la talentuosa ragazza che, nella serata delle cover, rileggerà Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano. Voto: 5,5
Altro esordiente è il calabrese (Antonio) Aiello che si presenta in Ora come un pornoattore. “Quella notte io e te /sesso ibuprofene / 13 ore in un letto”. Una ballata alla Mengoni. Voto: 5,5
Bizzarra, curiosa presenza invece quella di Gio Evan, il cui pseudonimo suona certamente meglio di Giovanni Giancastro. Scrittore, umorista e cantautore dalla capigliatura e dallo stile che ricorda il suo concittadino più famoso Caparezza, canta Arnica che è una pomata per lenire “le prime cicatrici, gli amori mai finiti, le nottate a casa soli o ubriachi con gli amici”. Testi evocativi, debole musicalmente. Voto: 5
Del cast di rottura, rispetto alla tradizione festivaliera, Fulminacci rappresenta forse uno degli emblemi. Filippo Uttinacci, questo il vero nome del ventitreenne cantautore romano, arriva all’Ariston senza i numeri del big, ma forte di un successo di critica che gli ha permesso di collezionare premi prestigiosi come la Targa Tenco 2019 per l’esordio. Anche stavola lascia il segno con una interessante ballata indie, intitolata Santa Marinella, che è una spiaggia romana, dove ambienta una intensa storia d’amore. Voto: 7
“Parlami, parlami” prega Fulminacci. E gli fa eco Fasma in Parlami, tra rap e rock. Il tema dell’incomunicabilità affiora in diverse canzoni. Voto: 6
Combat Rock, Punk, Balera e Goliardia
Gli Extraliscio assieme a Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti divertono con Bianca luce nera, un punk da balera, in cui il liscio à la Casadei si sposa con sonorità più rock e con atmosfere gipsy. «La bianca luce nera è come un lampeggiante, una luce intermittente che si insegue, si avvicina ma non si raggiunge, è tutto e il contrario di tutto e non la trovi mai dove l’avevi lasciata l’ultima volta. Batte forte sul tempo, dentro una balera persa in un labirinto, in un ballo controtempo», spiega la band che venerdì 5 marzo pubblica il nuovo album È bello perdersi. Voto: 6-
La band romagnola compete per simpatia con quella emiliana dello Stato Sociale. La band che fece ballare una vecchietta sul palco dell’Ariston, sulle prime note di Combat Pop, premette: “È un combat pop! O era combat rock? Erano i Clash lo so, ma che stile!”. Citano Amadeus che “ha un profilo di coppia”, avvisano che “a canzoni non si fanno rivoluzioni” e chiosano: “Ma che senso ha vestirsi da rockstar, fare canzoni pop per vendere pubblicità?”. Un allegro rock’n’roll a metà strada fra Clash ed Edoardo Bennato. Voto: 6,5
“Fuori di testa” sono anche i Maneskin, che fanno gli scongiuri in Zitti e buoni: “Vi conviene toccarvi i coglioni”. Hard rock, sporco e possente, che promette spettacolo e trasgressione sul palco dell’Ariston. Voto: 7
Bugo, ripescato dopo la farsa dello scorso anno con Morgan, fa un po’ di confusione nella strampalata E invece sì, una muscolosa ballata nella quale mescola Celentano, Ringo Starr e un dittatore che s’innamora. Voto: 6
Talent e Rapper
È una debuttante anche Gaia (Gozzi), vincitrice di Amici 2020. La rima baciata “questo cuore amaro / ora ci vedo chiaro” dice tutto sulla sua Cuore amaro, brano in formato talent che strizza l’occhio alla musica latina. Voto: 4
Nel settore ex talent rientra Francesca Michielin. Aveva illuso con Nessun grado di separazione, quando qualcuno aveva tirato in ballo paragoni con Florence and the Machine. Si rivela una Zelig senza personalità, una cantante in cerca di una spalla famosa sulla quale adagiarsi. Dai Maneskin a Fabri Fibra, da Brondi a Max Gazzè, da Takagi & Ketra a Coma_Cose. E adesso fa il bis con Fedez, l’uomo che macina milioni di like a ritmo di glamour e che ha portato il rap nel pop, altro tassello di un album di duetti che, nonostante i nomi di richiamo, non decolla. Come pure Chiamami per nome, la canzone con cui i due sono in gara e che inizia così: “Oggi ho una maglia che non mi dona / Corro nel parco della mia zona / Ma vorrei dirti non ho paura / Vivere un sogno porta fortuna”. Un duetto ruffiano, di maniera, in crescendo, d’effetto, con le voci che s’intrecciano, moderno nel contributo di Mahmood, fra gli autori del pezzo. Sono accreditati come vincitori, ma si sa: chi entra Papa all’Ariston esce cardinale… Voto: 6
Anche per Emanuele Caso, in arte Random, 20 anni in aprile, nato a Portici, ma cresciuto a Riccione, i milioni di streaming e visualizzazioni gli sono valsi il passaporto, direttamente tra i big, al Sanremo della pandemia. È in gara con Torno a te, canzone tradizionale con influenze rap, in cui l’autore ricorda il primo amore facendo il verso a Ultimo. Voto: 4.
Nel lockdown è nata Momento perfetto di Ghemon, altro rapper e cantautore partenopeo. Le atmosfere sono però differenti, più gioiose, potenti, con un lussuoso arrangiamento orchestrale e fiati jazz. «È una canzone di rinascita, di rivincite, particolarmente energica», spiega Giovanni Luca Picariello, alias Ghemon. «C’è del rap e del soul ma anche dello swing, del gospel… È una canzone da cantare a squarciagola». Voto: 6+
Si balla anche con La genesi del tuo colore di Irama, brano dance latineggiante con un ritornello spezzato e un arrangiamento firmato Dardust, la cui onnipresenza in questo Festival tende a omologare gli arrangiamenti. Voto: 4,5
I veterani
Nel solco della ipertradizione melodica italiana e, più specificatamente sanremese, Orietta Berti con Quando ti sei innamorato, enfatica e straclassica canzone d’amore ben cantata con tanto di acuto finale, scritta da Francesco Boccia, lo stesso di Grande Amore, brano con cui Il Volo ha vinto il Festival nel 2015. È una sorta di dichiarazione d’amore al marito Osvaldo Paterlini. Voto: n. g. (dipende dai punti di vista)
Se per l’interprete di Finché la barca va si tratta della dodicesima partecipazione, Francesco Renga disegna sulla parete dell’Ariston la nona sbarretta: è in gara con Quando trovo te, che rispecchia il suo stile macho-tamarro-melodico, raccontando un amore in tempo di Covid. Voto: 4,5
Noemi torna per la settima volta sul palco dell’Ariston forte di un rinnovamento profondo nel fisico (più magra) e nelle sonorità. A firmare il brano Glicine è Ginevra, una delle cantautrici più promettenti della nuova scena, che le confeziona una ballad cadenzata che le esalta la voce. Parla di una donna forte, come la pianta rampicante del titolo, che scopre dentro di sé la forza di rinnovarsi nel momento fragile della fine di un amore. Outsider. Voto: 6+
Nuovo look e nuova svolta musicale anche per Arisa, alla sua ottava presenza con Potevi fare di più, un brano scritto da Gigi D’Alessio. Che, in effetti, avrebbe potuto fare di più. La voce dell’interprete compensa la debolezza del testo e della musica. Voto: 5
Ermal Meta, sei Festival nel curriculum, torna in veste solitaria dopo aver vinto in coppia con Fabrizio Moro nel 2018. La sua Un milione di cose da dirti è una anemica ballata d’amore dal sound essenziale. Voto: 4,5
Con le sfumature inconfondibili della sua voce, Malika Ayane tenta per la quinta volta di conquistare lo scettro di Signora della musica con la sensuale e ammiccante Mi piace così, un brano dinamico sfornato dal prolifico Pacifico. Voto: 5,5
Alla quinta volta anche Annalisa: nella speranza di uscire finalmente dal limbo di ex talent, si dà un presuntuoso Dieci. Bella progressione, radiofonico, ma il brano non raggiunge la sufficienza. Voto: 5
La quarta giuria
Intanto, alle già previste giurie (demoscopica, stampa e televoto) che decreteranno il vincitore della edizione “70+1”, se ne aggiunge una quarta: il tele-covid. Il malefico morbo potrebbe infatti incaricarsi dell’eliminazione di qualche cantante in gara. Al regolamento è stato aggiunto il comma che recita: «Se un cantante, o un membro del suo staff, sarà trovato positivo, dovrà ritirarsi».