Musa rockstar, sopravvissuta ai bassifondi, regina del cabaret postmoderno, Marianne Faithfull ha unito arte e vita per diventare un classico. Greta Garbo era un classico. Edith Piaf lo è stata. «Conosco i dettagli della sua vita», ha spiegato una volta una devota seguace della signora Faithfull. «Ma non ne ho bisogno. Tutta la sua storia è nella sua voce». Una voce ricoperta di cenere, tremolante, carica di una magia travolgente. È una voce che suona come se fosse tornata da qualche parte e avesse trovato un modo per far collassare il presente e il passato. Può portare la decadenza berlinese di Weimar nelle canzoni di Bob Dylan, o far respirare il macabro di William Blake in un brano dei Metallica.
Tale iperbole potrebbe sembrare estrema a chi non è convinto del genio della figlia di una spia britannica e di una baronessa austriaca. Lei stessa è la prima ad ammettere che alcuni la vedono ancora come “l’ex pupa di Mick Jagger”, cinquant’anni dopo aver concluso la loro storia d’amore di quattro anni. Pochi conoscono le ballate edoardiane che l’hanno resa una star degli anni Sessanta a pieno titolo, anche la sua versione famosa ma raramente ascoltata del brano di Jagger-Richards As Tears Go By. Quando riemerse alla fine degli anni Settanta con lo straordinario album influenzato dal punk Broken English e una nuova voce, priva di dolcezza, allevata nei bar dei bassifondi invece che nei castelli fatati, i critici furono sorpresi, ma sembravano affascinati da problemi che aveva avuto con la droga piuttosto che dalla sua abilità artistica.
LEGGI ANCHE: Le fan del rock: muse o groupie?
Nei suoi 74 anni di vita, Marianne Faithfull diverse volte è stata a un passo dalla morte. La prima nell’estate del 1969 per un’overdose di sonniferi nella stanza d’albergo di Sydney che condivideva con il suo allora fidanzato, Mick Jagger. Raccontò che era stato Brian Jones, compagno di band annegato in piscina la settimana prima, a chiederle di unirsi a lui nell’aldilà. Invito rifiutato, Faithfull dopo sei giorni si svegliò dal coma. Questo accadeva prima che diventasse dipendente dall’eroina nei primi anni Settanta: «A quel punto sono entrata in uno dei livelli estremi dell’inferno», scrive nella sua autobiografia del 1994 Faithfull. Ci sono voluti più di un decennio per essere finalmente pulita. Da allora è sopravvissuta al cancro al seno, all’epatite C, a un’infezione derivante da una frattura dell’anca e, nelle settimane scorse, anche al Covid-19: «La battaglia più dura che ho combattuto in tutta la mia vita», racconta oggi al New York Times. «Mio figlio Nicholas mi ha rivelato che sulla cartella ai piedi del mio letto d’ospedale i medici avevano scritto: “Solo cure palliative”. Pensavano che stavo per tirare le cuoia! Ma li ho fregati!».
Proprio prima di contrarre il virus, nel marzo dello scorso anno, Marianne Faithfull stava lavorando a un album che sognava di realizzare da più di mezzo secolo: She Walks in Beauty, in uscita il 30 aprile, un omaggio ai poeti romantici, che avevano infiammato la sua immaginazione da adolescente. A metà degli anni Sessanta, le esigenze della fiorente carriera pop la allontanarono dal suo amato corso di letteratura inglese, «ma continuai a leggere i libri». E, attraverso gli alti e bassi della sua vita, quelle poesie sono rimaste con lei come talismani consunti: “Se hai mai letto Ode to a Nightingale, The Lady of Shalott, non le dimenticherai».
Prima di essere contagiata dal Covid-19, Faithfull aveva registrato sette poesie, fra le quali She Walks in Beauty di Byron, Ozymandias di Shelley e Ode to a Nightingale di Keats. Ricoverata in ospedale in seguito al virus, è caduta in coma. Il suo manager ha così inviato le registrazioni a Warren Ellis, amico e frequente collaboratore della cantante, per scrivere le musiche con cui accompagnare le poesie. Nessuno sapeva se Marianne Faithfull fosse riuscita a sopravvivere per ascoltare il prodotto finito.
Nel musicare i brani, Ellis ha voluto rifuggire dal banale approccio liuti e clavicembali. Invece ha studiato alcuni dei dischi che riteneva fondessero con maggior successo parole parlate e musica, come I’m New Here di Gil Scott-Heron, Late-Flowering Love di sir John Betjeman e Lulu di Lou Reed e Metallica. Come le letture ardenti di Faithfull, le composizioni meditative di Ellis – con contributi di Nick Cave e Brian Eno – accentuano la duratura modernità dei poeti.
Prima che Ellis avesse finito, ricevette la notizia che Faithfull si era svegliata dal coma, aveva lasciato l’ospedale e aveva registrato altre quattro poesie. «È sopravvissuta al Covid, è uscita e ha inciso Lady of Shallot», si meraviglia ancora oggi Ellis. «È semplicemente la migliore, Marianne».
Dall’ultima battaglia Marianne Faithfull non è riuscita a uscire senza cicatrici. A causa del virus ha perso il suo caro amico e collaboratore Hal Willner e il virus l’ha perseguitata con sintomi ostinati: affaticamento, annebbiamento della memoria e problemi ai polmoni. Si è quindi sottoposta a fisioterapia ed ha lavorato sulla respirazione ogni settimana con una amica che l’ha guidata con una chitarra negli esercizi di canto. «Ho temuto che non avrei mai più potuto cantare», ricorda ancora con terrore. «Ora non vedo l’ora di scrivere nuove canzoni e di tornare sul palco».