Stiamo meglio oggi o stavamo meglio un anno fa? Il 4 maggio del 2020 iniziava la seconda fase dell’emergenza Covid. Tutto il Paese riassaporava qualche timida parvenza di normalità dopo un lungo e rigoroso lockdown. Oggi, invece, quasi tutta Italia è in zona gialla (tranne la Valle d’Aosta in zona rossa e Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia, Sardegna in zona arancione) una condizione per molti versi paragonabile quella dello scorso maggio. Il premier Mario Draghi ha affermato che abbiamo beneficiato di vincoli allentati sulla base di un «rischio ragionato» sulla base di dati sanitari incoraggianti. Ma molti di questi risultano peggiori rispetto a quelli che determinarono la fine del lockdown nazionale.
Nel 2020 lunedì 4 maggio iniziava infatti la seconda fase dell’emergenza Covid. Va precisato che in quella data ci fu solo una prima fase di riaperture con la ripartenza per i trasporti mentre per negozi, bar, ristoranti si dovette aspettare ancora qualche settimana (esattamente il 18 maggio). Oggi nelle zone gialle, tornate in vigore il 26 aprile, invece, hanno riaperto bar e ristoranti – sia a pranzo che a cena ma solo per il servizio all’aperto – musei, cinema, teatri e sale da concerto, ma con capienza ridotta, ed è tornato possibile fare attività fisica all’aperto, anche per gli sport di contatto. Sono consentiti gli spostamenti tra regioni, ma resta il coprifuoco dalle 22 alle 5.
Il bollettino della Protezione civile diffuso il 18 maggio del 2020 riportava dati che, messi a paragone con quelli di ieri (3 maggio 2021) appaiono strabilianti. Il 18 maggio 2020 si contarono 451 nuovi contagi contro i 5.948 di ieri; i morti furono 99 anziché 256, i ricoverati in terapia intensiva 749 contro 2.490. I casi attivi risultavano 66.553 contro 423.558. Viste così le due tabelle sembrano appartenere a due mondi paralleli ma alcune precisazioni vanno fatte. Nel maggio 2020 uscivamo da un periodo di misure molto rigide, scattate in tutta Italia il 9 marzo precedente: non c’era il sistema a colori, l’Italia visse come un’unica e uniforme zona rossa con poche deroghe; quello attuale è un regime molto più modulato e spesso allentato. Durante la prima ondata, poi, il problema principale fu tracciare e e censire tutti i contagi; la capacità di effettuare tamponi non era paragonabile a quella attuale e dunque il numero di 66.553 «attivi» al 18 maggio 2020 è di sicuro assai sottostimato.
L’ultimo monitoraggio del ministero della Salute (30 aprile) ha fissato l’indice Rt a 0,85, in lieve peggioramento rispetto alla settimana precedente (0,81). Ma la risalita della curva pandemica non può essere spiegata con le riaperture, dato che il report si riferisce al periodo compreso tra il 12 e il 18 aprile. Secondo i dati, nessuna regione è a rischio alto: undici Regioni e Province autonome hanno una classificazione di rischio moderato (di cui nessuna ad alta probabilità di progressione a rischio alto nelle prossime settimane) e 10 Regioni hanno una classificazione di rischio basso. Tre Regioni hanno un Rt puntuale maggiore di uno. L’incidenza continua a scendere: il valore è a 146 rispetto al 152 della settimana precedente. Il tasso di occupazione in terapia intensiva a livello nazionale è uguale alla soglia critica (30%).
Nel maggio 2020 la «cabina di regia» era stata appena istituita e così si legge nel monitoraggio relativo alla terza settimana del mese: «Non vengono riportate situazioni critiche relative all’epidemia di Covid. L’incidenza settimanale rimane molto eterogenea sul territorio nazionale, non si registrano segnali di sovraccarico sui servizi ospedalieri». Riguardo all’indice Rt, questo oscillava dallo 0,15 della Calabria al Molise dove era prossimo a 2, passando per lo 0,9 di Campania e Umbria.
Rispetto al 2020, però, qualcosa è cambiato: i vaccini che, nella primavera del 2020, appartenevano al mondo delle ipotesi, oggi rappresentano una concreta via d’uscita. E si iniziano a vedere i primi effetti della campagna vaccinale: sono calati i nuovi casi tra gli operatori sanitari, la prima categoria ad essere protetta, sono diminuiti i ricoverati anziani in gravi condizioni e c’è anche una prima flessione della curva della mortalità tra le persone con più di 80 anni. I dati che mostrano questi andamenti sono stati pubblicati dall’Istituto superiore di sanità, che nel report diffuso il 30 aprile ha analizzato le curve di casi, ricoverati e decessi per metterle in relazione con la progressione della campagna vaccinale. Pur con molte cautele, l’Iss conferma che anche in Italia – come era già stato rilevato in altri paesi – i vaccini contro il coronavirus sono efficaci soprattutto per evitare le conseguenze più gravi legate alla Covid-19: i ricoveri in terapia intensiva e la morte.