La querelle sulla presunta censura al Concertone del Primo Maggio tra Fedez e la Rai e quella tra il rapper e la Lega sulla legge Zan contro l’omotransfobia non sono stati soltanto scontri d’idee. È stato uno scontro tra poteri: quello del “piccolo mondo antico” della televisione, quello privo di credibilità e corrotto del mondo politico e il moderno metodo social che Fedez cavalca trionfalmente. Quest’ultimo si è confermato un cavallo vincente, rispetto a quello morente di Viale Mazzini. Anche Salvini, temendo gli “umori” dei social, ha dovuto abbandonare la sua consueta spavalderia, tendendo la mano al rapper e invitandolo a un confronto.
Difficile competere con chi condivide con la propria consorte (Chiara Ferragni) un regno social con quasi 36 milioni di follower, equivalente alla popolazione di una intera nazione come la Polonia. Con un potere d’influenza tre volte superiore a un centrodestra che, unito, alle ultime elezioni si fermò a 12,5 milioni di voti circa. Un potere che Fedez aveva già mostrato di saper esercitare nei confronti del mezzo televisivo al recente Festival di Sanremo. Prima, spoilerando alcuni secondi della canzone che avrebbe cantato in coppia con Francesca Michielin sul palco dell’Ariston durante un “innocente” video domestico in cui giocava con il figlio Leone. Poi mobilitando i sudditi, pardon, i follower del regno Ferragnez al momento del voto, portando così il motivetto Chiamami per nome sul podio dell’edizione numero 71 del Festival.
Adesso ha fatto il bis, con la lettura in diretta del messaggio, nel quale si rivolgeva, da pari a pari, al «caro Mario» (Draghi, presidente del Consiglio italiano), e poi mettendo in rete (dopo un “taglia e cuci” a proprio vantaggio) il video della telefonata con i funzionari Rai intervenuti per fargli rispettare le regole.
Fedez è il caso più clamoroso ed emblematico, ma non il solo. Nello stesso contesto del Concertone del Primo Maggio, un’altra voce critica si è levata nei confronti della televisione e di una cultura omofoba e di destra. Meno forte, ma incisiva nello stesso modo. È stata quella di Michele Bravi che ha criticato le battute di Pio e Amedeo nella puntata finale di Felicissima Sera su Canale 5.
Incoraggiati dalle accoglienze positive della stampa, non solo di destra (perfino Aldo Grasso li aveva elogiati), i due comici avevano riesumato tutti i luoghi più comuni e più beceri su ebrei, omosessuali, extracomunitari e neri, mettendo alla berlina il “politicamente corretto”. Sono bastate due parole di Michele Bravi sul “peso delle parole”, perché il sipario crollasse sullo spettacolo “politicamente cafone” di Canale 5. Due parole che hanno fatto scatenare il mondo social contro i presunti comici, facendo tacere coloro i quali avevano tentato di sdoganarli in ossequio alla loro sostenitrice, la regina del trash Maria De Filippi.