Il fine pena è arrivato puntuale, lento ma inesorabile: trent’anni di carcere, che con la liberazione anticipata che si applica a tutti i detenuti — 45 giorni di sconto ogni sei mesi passati in cella, unico beneficio concesso anche ai mafiosi — sono diventati venticinque. E così Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato, fedelissimo di Totò Riina, l’artificiere che fece esplodere la bomba di Capaci, arrestato nel 1996, ha lasciato il carcere romano di Rebibbia. Libero, seppure con qualche residua limitazione (quattro anni di libertà vigilata) e sempre sotto protezione, inserito a pieno titolo nel programma per la sicurezza dei pentiti.
L’ex killer di Cosa nostra che il 23 maggio 1992 azionò il telecomando per la strage di Capaci, detto ‘u verru (il porco), è stato scarcerato per effetto della della legge del 13 febbraio del 2001 grazie alla quale per lo Stato italiano ha finito di scontare la propria pena detentiva. Avendo scelto di collaborare con la giustizia ha ottenuto gli sconti di pena previsti dalla legge. Brusca è accusato anche della brutale uccisione di Giuseppe Di Matteo, il figlio undicenne del pentito Santino: il piccolo è stato strangolato e sciolto nell’acido perché il papà collaborava con la giustizia.
Brusca, 64 anni, due anni fa aveva chiesto la scarcerazione. Era il 19 ottobre del 2019, quando i giudici della Corte di Cassazione bocciarono la richiesta dei legali del killer della strage di Capaci. Ma adesso perché Giovanni Brusca è stato scarcerato? L’agenzia di stampa Ansa scrive che nel suo caso sono stati semplicemente applicati i benefici previsti per i collaboratori “affidabili”. Se ne era già tenuto conto nel calcolo delle condanne che complessivamente arrivano a 26 anni. Arrestato nel 1996 nel suo covo in provincia di Agrigento, sarebbe stato scarcerato nel 2022. Ma la pena si è ancora accorciata per la “buona condotta” dopo che a Brusca erano stati concessi alcuni giorni premio di libertà.
«Umanamente è una notizia che mi addolora, però questa è la legge, che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata», commenta Maria Falcone, sorella di Giovanni. All’AdnKronos ha detto la propria anche Salvatore Borsellino, attivista e fratello di Paolo, il giudice amico di Falcone e ucciso poche settimane dopo di lui. «La liberazione di Brusca, che per me avrebbe dovuto finire i suoi giorni in cella, è una cosa che umanamente ripugna. Però, quella dello Stato contro la mafia è, o almeno dovrebbe essere, una guerra e in guerra è necessario anche accettare delle cose che ripugnano. Bisogna accettare la legge anche quando è duro farlo, come in questo caso», commenta Salvatore Borsellino.
Dal mondo della politica, invece, piovono reazioni indignate. Il leader della Lega Matteo Salvini accusa: «Non è la giustizia che l’Italia merita», mentre il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, intervistato su Rtl 102.5 ha definito l’uscita dal carcere di Brusca «un pugno nello stomaco, che lascia senza respiro e ti chiedi come sia possibile». «L’idea che un personaggio del genere sia di nuovo in libertà è inaccettabile, è un affronto per le vittime, per i caduti contro la mafia e per tutti i servitori dello Stato che ogni giorno sono in prima linea contro la criminalità organizzata. 25 anni di carcere sono troppo pochi per quello che ha fatto. È una sconfitta per tutti, una vergogna per l’Italia intera”», attacca la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Mentre per il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani «è impossibile credere che un criminale come Brusca possa meritare qualsiasi beneficio. La sua uscita dal carcere fa venire i brividi. Questa non è giustizia giusta. Vicino alle famiglie delle vittime dei suoi efferati omicidi di mafia».
Al Corriere ha parlato Santino Di Matteo, il pentito vittima dell’atroce vendetta di Brusca, che sequestrò e uccise, facendolo sciogliere nell’acido, suo figlio Giuseppe di 13 anni. «La legge non può essere uguale per questa gente. Brusca non merita niente. Oltre mio figlio, ha pure ucciso una ragazza incinta di 23 anni, Antonella Bonomo, dopo avere torturato il fidanzato. Strangolata, senza motivo, senza che sapesse niente di affari e cosacce loro. Questa gente non fa parte dell’umanità. Il suo padrino, Riina, è morto in carcere. E così doveva andare per Brusca. Tu hai fatto cose atroci. Statti tranquillo, dentro. Ti diamo qualcosa, ma non puoi uscire. Perché se esce, che giustizia è? Se lo dico io, forse vale poco, ma dovrebbero essere tanti a ribellarsi. Invece, so come finirà: giornali e tv ne parleranno per due giorni, poi il silenzio trionferà e quel mascalzone si godrà la libertà. Brusca conosceva Giuseppe, mio figlio, da bambino. Ci giocava insieme con la Playstation. Eppure l’ha fatto sciogliere nell’acido. E questo orrore si paga in vent’anni? Io non posso piangere nemmeno su una tomba e lui lo immagino pronto a farsi una passeggiata. Magari ad Altofonte. O in un caffè davanti al Teatro Massimo di Palermo. Mi auguro di non incontrarlo mai, come chiedo al Signore. Se dovesse succedere, non so che cosa potrebbe accadere».