I ruggiti della “bestia”, così era anche soprannominato Riina, sono costati la vita a decine di persone in Italia. Tra loro, le vittime più illustri sono state rappresentate dall’ignobile omicidio di Giuseppe Di Matteo, appena adolescente quando fu strangolato e sciolto nell’acido, e i giudici anti-mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una lunghissima scia di sangue, marchio indelebile di quella mafia con la lupara che sembra essersi confusa ed annacquata indossando un colletto bianco. L’organizzazione criminale su cui Riina regnò col pugno di ferro di un monarca assoluto non esiste più per come l’abbiamo conosciuta. Oggi, cosa nostra si presenta in giacca e cravatta, allunga i suoi viscidi tentacoli sul mondo della politica e sul mondo della giustizia, si infiltra nelle gare d’appalto delle grandi opere e dei grandi eventi, molto meno visibile ed identificabile di quanto non lo fosse in passato. Una mafia 2.0 che affonda le sue perverse radici in un substrato culturale restio ad accettare i valori della legalità, della trasparenza, dell’equità, del merito, tanto cari ai martiri che si sono immolati per essi. È difficile dire se il vuoto di potere lasciato dalla morte di Riina verrà automaticamente colmato dall’unico superlatitante rimasto ancora a piede libero, quel Matteo Messina Denaro la cui perfida ombra aleggia sull’Italia da tantissimi anni, orrenda quanto inafferrabile. La mafia rimane, ancora oggi e nonostante la morte di uno dei suoi capi storici, un pericolo attuale e pervasivo per lo stato italiano dove la corruzione brucia ogni anno miliardi di euro che potrebbero essere utilizzati per rilanciare l’economia di un paese che stenta ad uscire dal tunnel della crisi.
LE REAZIONI DELL’OPINIONE PUBBLICA. In Italia ci siamo divisi sostanzialmente tra chi ha gioito in maniera più o meno plateale alla morte del boss corleonese e chi, invece, ha ritenuto di manifestare la propria solidarietà alle vittime di mafia senza esplodere in manifestazioni di giubilo al termine di una vita umana. Personalmente, credo che la lucida ferocia manifestata specialmente sui social network da tanti connazionali rappresenti il pericolo di cadere nella trappola culturale della mentalità mafiosa. Se iniziamo a pensare secondo gli stessi paradigmi degli appartenenti a cosa nostra avremo già perso la nostra battaglia per la legalità e la giustizia. Proprio la negazione del valore della vita umana, a chiunque essa appartenga, costituisce un pilastro fondamentale su cui poggiano i capisaldi della cultura criminale. Non festeggiare la morte del boss di Corleone come se fossimo ad una festa di capodanno non implica alcun perdono per le nefandezze che ha compiuto né alcuna legittimazione. Al contrario, un sobrio e commosso pensiero rivolto alle vittime della dissennata stagione stragista rappresenta un’inequivocabile riaffermazione dei principi di legalità, onestà e giustizia per i quali in tanti sono morti, significa riaffermare la nostra battaglia in favore della vita e dei suoi valori autentici. «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine», lo affermò Giovanni Falcone prima di morire ed è con questa consapevolezza che abbiamo il dovere di prendere atto della necessità di continuare la nostra lotta contro il crimine organizzato al di là della morte di Riina che, in questa interminabile battaglia, rappresenta il semplice episodio di un capitolo il cui epilogo deve ancora essere scritto.