La scarcerazione di Giovanni Brusca, l’artificiere che fece esplodere la bomba di Capaci, diventa l’assist perfetto per l’assalto alla legge che premia i collaboratori di giustizia. A intestarsi una battaglia che rischierebbe di azzerare la lotta a Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra è Matteo Salvini: «Va assolutamente cambiata la norma. È inaccettabile moralmente e umanamente, a pochi giorni dal ricordo della strage di Capaci, avere per strada un pluriomicida e un boss mafioso tra i più pericolosi e non può essere compreso nell’Italia della ricostruzione post Covid», dice il leader della Lega.
Ma Salvini non è il solo: anche per il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, «se una norma è palesemente sbagliata va cambiata. Magari non potrà più servire per Brusca ma servirà almeno ad evitare un altro caso simili». «La legge che consente ai collaboratori di giustizia la scarcerazione va rivista e a chi oggi si limita a dire che la legge va rispettata dico: abbiamo il dovere di lavorare per cambiarla, perché questa non è giustizia», sostiene pure Licia Ronzulli, vicecapogruppo di Forza Italia al Senato, mentre già ieri la ministra per il Sud Mara Carfagna invocava «mai più sconti di pena ai mafiosi, mai più indulgenza per chi si é macchiato di sangue innocente».
Una legge che però è stata voluta proprio da Giovanni Falcone, il quale perse la vita nella strage di Capaci di cui proprio Brusca fu tra gli artefici. E che ora, semplicemente, è stata applicata. «Umanamente è una notizia che mi addolora, però questa è la legge, che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata», ha commentato Maria Falcone, sorella del giudice ucciso dalla mafia. Se il boss di San Giuseppe Jato, colpevole di centinaia di omicidi e stragi, è uscito dopo “soli” 25 anni è grazie alla legge 82 del 1991. “Nuove norme per la protezione e il trattamento sanzionatorio dei collaboratori di giustizia”, si chiama e a progettarla è stato il giudice siciliano. Per quella norma Falcone si era ispirato al Witness protection act in vigore negli Stati Uniti, grazie al quale Tommaso Buscetta aveva ottenuto la libertà vigilata.
Senza sconti di pena, senza la possibilità di avere permessi premio e soprattutto senza la garanzia di avere protezione per sé e per i propri cari, perché un mafioso dovrebbe collaborare con la giustizia? La prima fu la legge Cossiga (n.15 del 6 febbraio 1980). Concedeva un premio ai terroristi che parlavano. Ne beneficiarono, tra gli altri, Patrizio Peci e Antonio Savasta. Fu l’inizio di una nuova stagione. Giovanni Falcone pensò che fosse un’arma insostituibile per la lotta alla mafia che prosperava protetta dall’omertà. Venne così varato il decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, poi modificato il 13 febbraio 2001, n. 45.
Nella legge non si parla di pentiti ma di collaboratori di giustizia. Concede protezione e un assegno di mantenimento in cambio di una collaborazione. Ma c’è un tempo limite di sei mesi per le dichiarazioni dal momento in cui si è manifestata la volontà di parlare. I benefici arrivano non immediatamente, ma solo dopo che accurate verifiche ne abbiano riscontrato l’attendibilità. Il pentito dovrà scontare comunque un quarto della pena, per chi è condannato all’ergastolo 10 anni. La protezione durerà fino al cessato pericolo. Viene introdotta nel 2001 la figura del testimone di giustizia. Chi non ha commesso alcun reato ma che è a conoscenza di eventi criminali. A loro lo Stato garantisce un sostegno economico e protezione per sé e per la famiglia, fino a che sarà cessato il pericolo.