Quando molti Paesi si preparano alle riaperture, la variante Delta (B1.617.2) del coronavirus preoccupa sempre di più gli esperti a causa della sua diffusione sempre maggiore e della contagiosità più elevata rispetto alle precedenti mutazioni del virus. Secondo gli ultimi dati è già presente in oltre 70 Paesi e si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo. La sua presenza è già sta segnalata da tempo in Italia dove però dia dati ufficiali per il momento non sembra aver soppiantato la variante inglese che resta predominante.
Il quadro del contagi nel nostro Paese vede una presenza assai bassa della cosiddetta variante Delta, sotto la soglia dell’1%, stando all’ultimo monitoraggio ufficiale dell’Iss. È un fatto acclarato tuttavia che quel numero merita di essere letto nel contesto di una scarsa capacità del nostro sistema di sequenziare. «La situazione inglese deve preoccupare perché dobbiamo sorvegliare e far sì che non esistano dei cluster da variante indiana, serve un’attenta sorveglianza che con i numeri attuali italiani (1.000-1.500 positivi) possiamo sequenziare tutti i nuovi contagi e verificare se c’è la variante». Per Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, «in Italia abbiamo scelto una strategia vaccinale leggermente diversa dal Regno Unito, dove hanno accorciato il periodo tra prima e seconda dose. Quello che sta succedendo nel Regno Unito, con l’aumento dei casi collegato alla variante indiana, è legato da una parte al fatto che la gran parte della popolazione è vaccinata con una sola dose e poi che alcuni hanno posticipato di molto la seconda dose. Questa variante è però, ricordiamolo, coperta dai vaccini che stiamo utilizzando».
Da quattro settimane il Regno Unito si trova di nuovo in una fase di crescita esponenziale dei contagi: solo nell’ultima settimana il totale dei casi di coronavirus è aumentato del 64%, anche se il dato non si ripercuote ancora in maniera importante su ospedalizzazioni e decessi. Lì le analisi genetiche fatte, con numeri incomparabilmente superiori ai nostri, legano la recrudescenza dei casi alla propagazione della variante “ex indiana” più trasmissibile fino a sei volte le comuni forme di Sars-CoV-2.
La variante B.1.617.2 sta rapidamente diventando il ceppo dominante di Covid-19 anche negli Stati Uniti, il che fa interrogare sul fatto che più avanti nel tempo possa colpire le comunità vulnerabili. Attualmente il 10% delle infezioni da Covid-19 negli Stati Uniti può essere attribuito alla variante Delta, a dire dell’ex commissario della Fda Scott Gottlieb per il quale tale proporzione raddoppia ogni due settimane. Come annunciato dal premier Draghi a margine della riunione del G7, per chi entra in Italia è al momento già previsto il tampone e se dovessero invece ricominciare ad aumentare i contagi si procederà alla reintroduzione della quarantena per gli arrivi dalla Gran Bretagna.