Mentre il ministro dell’Università Maria Cristina Messa ha confermato le modalità di controllo del Green pass, monta la protesta di studenti e docenti contro quella che definiscono una politica discriminatoria che tende ad escludere dalla vita pubblica chi non è in grado di esibire il certificato vaccinale. Da nord a sud, le iniziative contro l’obbligo di Green pass nelle Università si moltiplicano. Lettere ai Rettori, appelli, diffide legali, manifestazioni in piazza e fuori gli Atenei. Viene invocato il diritto allo studio.
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«Per gli studenti il controllo sarà a campione. Agli esami potrà farlo il professore o un suo delegato, prima dell’interrogazione. Per i docenti e il personale universitario il controllo è uno a uno. Gli atenei più piccoli riescono a farlo all’ingresso, quelli più grandi stanno attivando delle piattaforme», ha chiarito il ministro dell’Università Maria Cristina Messa in una intervista al Corriere della Sera precisando che «l’universitario verrà fatto uscire, un po’ come sul treno che si scende alla stazione successiva» e che «se dovessero esserci situazioni particolari, verranno segnalate alle autorità preposte».
Intanto, gli universitari, raccolti in numerosi gruppi Telegram e Whatsapp, da settimane sono sul piede di guerra e hanno messo in campo diverse iniziative. L’ultima riguarda l’appello contro l’obbligo di Green Pass firmato da circa 600 docenti, studiosi e ricercatori, tra cui anche Alessandro Barbero, professore ordinario di Storia Medievale all’Università del Piemonte Orientale e volto della storia raccontata in tv, che definisce il certificato verde un “sotterfugio” per costringere gli studenti alla vaccinazione. «Qualcuno mi presenta come una specie di superstizioso fanatico contrario ai vaccini. Ma nell’appello che ho firmato non si parla affatto dell’utilità dei vaccini, anzi si dice chiaramente che molti dei firmatari sono vaccinati, me compreso. Il problema che mi preoccupa è l’obbligo del Green Pass per gli studenti che dopo aver pagato fior di tasse universitarie sono esclusi dalle lezioni se non hanno il certificato».
La posizione di Barbero, tuttavia, non si limita all’ambito universitario. «Vivere in un Paese in cui non si può salire su un treno o entrare in un ufficio pubblico o andare all’università se non si possiede un pezzo di carta che però – per carità! – non è assolutamente obbligatorio, è surreale e inquietante», ha dichiarato il docente di storia. E questo perché «il governo ritiene di poter togliere alla gente diritti fondamentali, neppure civili o politici, ma umani, come quello di accedere a un ospedale o a una lezione universitaria, e considera la cosa irrilevante, tanto da non far sentire una parola per dire almeno che è preoccupato e dispiaciuto di doverlo fare, e senza prendersi la responsabilità di rendere obbligatorio per legge il vaccino, misura con cui io, sia pure non senza dubbi, alla fine sarei d’accordo».
Ma uno degli accademici che più si sta spendendo è Paolo Gibilisco, matematico di Tor Vergata, che rifiuta la definizione di no vax, ma assume quella di “dubbioso”. «Noi siamo contro l’obbligo vaccinale, e contro il green pass proprio in quanto introduce l’obbligo in forma surrettizia. Noi non siamo no-vax, anche perché i no-vax non esistono. Esistono persone che nutrono dei dubbi legittimi. I vaccini anti-Covid non sono degli assiomi euclidei in uso da duemila anni. Conosciamo le reazioni dopo sei mesi, ma sul lungo periodo sappiamo poco o nulla».
AIFA, abbiamo un problema. Pare che i tromboembolismi non siano solo un effetto collaterale di Astrazeneca, ma anche di Pfizer. Vogliamo aggiornare l’RCP di Comirnaty? https://t.co/OxGIz0iDpz
— Paolo Gibilisco (@paolo_gibilisco) August 27, 2021
Con l’obbligo di Green Pass per le Università scattato il primo settembre, il prossimo rischia di diventare un autunno caldo per quella fronda resistente al vaccino. Dopo un anno e mezzo di pandemia, che ha tenuto tutti lontani dalle aule, c’è voglia di tornare negli atenei, ma non a qualunque prezzo. È quello che emerge da ogni iniziativa che sta nascendo in giro per l’Italia. A Bergamo, la città che ha pagato il prezzo più caro al Covid, il Rettore ha ricevuto una lunghissima lettera anonima che inizia così: «Non ci qualifichiamo, non ci quantifichiamo. Potremmo essere 10, 100, 1000, 10.000. Ma anche se fossimo solo in due, dovrete fare i conti con la nostra presenza. Esattamente novant’anni fa, nel 1931, venne imposto a tutti i professori universitari l’obbligo di giurare fedeltà al regime fascista, pena la destituzione dalla cattedra di cui erano titolari. Come ben sappiamo, solo 12 professori su 1.225 rifiutarono. Oggi il personale docente e non docente presente negli istituti universitari italiani ammonta a circa 125.600 persone: quanti di questi si rassegneranno ad accettare l’inaccettabile?».
Ma le iniziative contro l’obbligo di Green pass nelle Università interessano tutta l’Italia. A Firenze gli “Studenti No Green Pass” hanno annunciato un presidio alle 10 in piazza Brunelleschi, davanti alla Facoltà di Lettere lunedì 13 settembre, e una manifestazione alle 12,30 di fronte al Rettorato in piazza San Marco. A Palermo un fronte composto da più di cento persone tra professori, amministrativi e studenti si è rivolto al rettore per trovare soluzioni alternative al Green pass.
Il gruppo “Studenti contro il Green Pass – Venezia” ha inviato una diffida a tutti i rettorati delle Università veneziane affinché sia garantito il libero esercizio del diritto allo studio: dalla frequentazione delle lezioni alla possibilità di usufruire della biblioteca. A dare supporto legale a tutti è l’avvocato Alessandro Fusillo: sul suo sito è possibile scaricare una bozza di diffida ad adempiere (articolo 1454 del codice civile) che poggia sul presupposto legislativo che di fronte ad una regolare iscrizione all’università, vedersi impedito l’accesso, rappresenterebbe una violazione contrattuale e quindi le Università potrebbero essere chiamate a risarcire il danno.