Sembrava destinato a essere un cimelio per musicofili, anticaglia per collezionisti, oggetto vintage per complementi d’arredo. Accantonato verso la metà degli anni Ottanta a favore del compact disc, considerato più fedele del vecchio ellepì e indistruttibile, il vinile, piano piano, ha recuperato terreno e adesso gusta il sapore della sua vendetta. Non solo ha sorpassato nelle vendite il suo rivale, ma ora a rischiare di andare in pensione è proprio il cd. Già molti artisti stanno pubblicando le nuove uscite in due formati: digitale per lo streaming e vinile. Cd addio? Sembrerebbe così, ma il condizionale è d’obbligo. E vi spieghiamo perché.
La domanda dei dischi in vinile è in crescita già da tempo, evidenziando un mercato abbastanza attivo, ed è ulteriormente aumentata durante il lockdown. La maggiore richiesta è stata soddisfatta da grandi rivenditori come Amazon, che nell’ultimo anno e mezzo hanno incluso molti più titoli nei loro cataloghi (l’azienda di Bezos ogni ottobre organizza la Vinyl Week, giunta alla sesta edizione). Secondo i dati diffusi da Billboard, la principale classifica musicale dell’industria discografica americana, negli Stati Uniti i ricavi degli album in vinile potrebbero raggiungere il miliardo di dollari entro la fine dell’anno, quasi 400 milioni di dollari in più rispetto al 2020, segnato dagli effetti dell’epidemia.
Con il tradizionale ritardo, anche in Italia si è registrato il “boom” del vecchio ellepì. Nei primi tre mesi del 2021, infatti, secondo i dati Deloitte per Fimi, il vinile ha superato il Cd per la prima volta dal 1991. Un sorpasso storico che vede il vinile crescere del 121% rispetto allo stesso periodo del 2020 generando maggiori ricavi rispetto al Cd. Quest’ultimo ha fatto registrare un calo del 6%. In un mercato dominato dallo streaming, che copre ormai circa l’80% del fatturato italiano, il vinile rappresenta oggi l’11% di tutte le vendite di musica in Italia.
Alle nuove attenzioni di artisti popolari nei confronti dell’oggetto vinile, però, non è seguito uno sviluppo dell’industria dei vinili, di fatto ancora artigianale. Per stampare migliaia di dischi servono tempo, esperienza e macchine adatte, difficili da trovare. Le poche sul mercato sono state tutte prenotate e le aziende stampatrici devono arrangiarsi con reperti recuperati dagli anni Ottanta. L’offerta, insomma, non riesce a seguire la crescita della domanda, e i prezzi si alzano.
«In due anni il lavoro è aumentato del 100% costringendoci a dilatare i tempi di consegna», racconta Filippo De Fassi della Phonopress, la più nota azienda italiana stampatrice di vinili con sede in provincia di Milano. La richiesta di stampare dischi in vinile è aumentata così tanto che la Phonopress è stata costretta a inserire un avviso sul suo sito internet che indica tempi di attesa di almeno dodici settimane. Il mercato delle macchine industriali è ancora limitato e se non ci sarà una risposta rapida mancherà anche il tempo per rispondere alle richieste delle grandi case discografiche, con il rischio che l’interesse nei confronti del vinile scenda, magari a favore di altri “vecchi” formati, come il Cd. «Da cinque anni si dice che il vinile presto morirà, ma siamo ancora qui. Quando si arriverà al punto di rottura, cioè quando scoppierà la bolla, si dovrà per forza ricalibrare la domanda, con possibile calo dell’interesse nei confronti del vinile».
Tutto questo ha portato a un significativo aumento dei prezzi dei dischi in vinile. A pagare sono i negozi di dischi che, come le etichette indipendenti, sono riusciti a sopravvivere grazie a una nicchia ora a rischio. Molte delle uscite superano i 40 euro: il margine di guadagno è basso e il rischio di lasciarli negli scaffali per anni è molto alto. «L’incremento dei costi più consistente si sta registrando da 2-3 mesi», conferma Piero Toscano del negozio Rock86 di Catania. «Aumenti tra il 30% ed il 50%, approfittando della scusa delle edizioni limitate, numerate, colorate… Doppio vinile che gira a 45 giri per una maggiore qualità del suono…». Per non parlare dei tanti cofanetti celebrativi in arrivo per le festività natalizie, i cui costi vanno oltre i 100 euro, fino ad arrivare ai 238,41 euro per l’album di Cat Stevens Teaser and the Firecat (Super Deluxe Vinyl Edition: 4 CD + Blu-ray + 2 LP + SP).
Il rischio è che si torni indietro. Che, come nel celebre film Il sorpasso di Dino Risi, il vinile sbandi e finisca fuori strada. «Rispetto agli acquirenti rimasti fedeli al cd, c’è oggi qualcuno in più che cerca il compact proprio per via del prezzo troppo alto di alcuni vinili», registra Piero Toscano. «Comunque, nel mio negozio, la vendita dei cd è di 1 a 10. Io prendo tutti i vinili di artisti con un nome conosciuto, anche perché spariscono subito: limitati, colorati…».
I fattori vincolanti che bisognerà risolvere sono la difficoltà di produzione, gli alti costi e non ultimo il loro impatto ambientale. Il vinile è un polimero plastico sintetico: i granuli di PVC vengono scaldati, fusi e trasformati in dischetti simili a quelli dell’hockey, poi pressati e scaldati di nuovo. Il PVC contiene sostanze cancerogene e la produzione genera acque reflue.
Gli effetti di questa situazione sono già evidenti in Paesi dove la bolla è cresciuta in anticipo rispetto all’Italia, come gli Stati Uniti: diversi artisti che si autoproducono hanno smesso di stampare i vinili a causa dell’allungamento dei tempi di produzione, e hanno puntato su formati alternativi come le musicassette.