Con la fine della pausa per le vacanze natalizie, la scuola ricomincerà in presenza in quasi tutta Italia, con nuove regole che secondo il governo serviranno a evitare il più possibile il ricorso alla Dad, come richiesto peraltro da gran parte delle regioni. Le nuove norme sono state però fortemente contestate da molti presidi in tutta Italia, secondo cui al momento non ci sarebbero i presupposti per garantire un rientro in sicurezza e per supplire alle assenze degli insegnanti in quarantena o contagiati.
In base alle nuove regole nelle scuole dell’infanzia e negli asili nido non cambierà nulla: la sospensione dell’attività didattica inizierà al primo caso di contagio e durerà 10 giorni. Per le scuole elementari, invece, se in una classe ci sarà un caso positivo l’attività proseguirà in presenza ma tutti gli studenti dovranno fare immediatamente un test antigenico rapido o molecolare, e ripeterlo dopo cinque giorni. In presenza di due o più positivi è prevista per tutta la classe la didattica a distanza per dieci giorni.
Per le scuole medie e superiori sono previste maggiori differenze, a seconda che gli studenti siano vaccinati o meno. Il motivo di questa distinzione è che circa tre quarti degli studenti nella fascia di età tra 12 e 19 anni ha completato il ciclo primario di vaccinazione, ovvero ha ricevuto due dosi di vaccino. Se nella classe verrà rilevato un caso di positività si applicherà solo l’autosorveglianza. La didattica resterà in presenza e varrà l’obbligo di indossare le mascherine Ffp2. Con due casi positivi nella stessa classe è prevista la didattica a distanza per 10 giorni per gli studenti che non hanno avuto la dose di richiamo, per quelli che hanno completato il ciclo vaccinale primario da più di 120 giorni e per chi è guarito dal Covid-19 da più di 120 giorni. A tutti gli altri si applicherà invece l’autosorveglianza con l’obbligo di utilizzo di mascherine Ffp2. Nel caso in cui invece ci si siano almeno tre contagiati nella classe, si applica a tutti la didattica a distanza per dieci giorni.
Le nuove regole non sono però state accolte favorevolmente da molti presidi italiani: più di 2mila dei circa 8mila dirigenti scolastici italiani hanno firmato un appello online, rivolto a governo, regioni e ministero dell’Istruzione, in cui hanno chiesto che la ripartenza della scuola in presenza venga posticipata di due settimane, prospettando che in caso contrario ci sarà «una situazione ingestibile che provocherà con certezza frammentazione, interruzione delle lezioni e scarsa efficacia formativa».
Nell’appello si sottolinea come a causa delle complicate regole sulla quarantena per i contatti delle persone positive e delle difficoltà che si stanno riscontrando in tutta Italia nell’effettuare test in tempi ragionevoli, le scuole dovranno probabilmente fare i conti con numerose assenze di insegnanti. «Sottovalutare la prevedibile ed enorme mancanza di personale determinerà insolubili problemi. In un momento nel quale è necessaria almeno la minima sorveglianza delle classi (per non parlare della didattica, che risulterà in molti casi interrotta), non sapremo, privi di personale, come accogliere e vigilare su bambini e ragazzi».
«Lunedì, quando riapriranno gran parte delle scuole lombarde sarà come andare alle Termopili», dice il presidente lombardo dell’Associazione Nazionale Presidi, Matteo Lori. I primi dati della confusione li fornisce il governatore del Veneto Luca Zaia, che ha parlato di migliaia di scuole chiuse a causa delle defezioni di docenti contagiati o non vaccinati. «Per la riapertura in presenza avevamo chiesto il parere del Cts, ma non abbiamo avuto risposta», ha detto l’esponente leghista in conferenza stampa. Una situazione di tale difficoltà che perfino chi fa parte della squadra di governo per contrastare l’emergenza ha preferito smarcarsi. È il caso di Guido Rasi, consulente del Commissario per l’emergenza Covid: «Due settimane di Dad sarebbero molto importanti».
«È irresponsabile aprile le scuole il 10 gennaio. Per quello che ci riguarda non apriremo le medie e le elementari. Non ci sono le condizioni minime di sicurezza». Mentre l’Italia è spaccata nella diatriba tra il governo che vuole le lezioni in presenza e il mondo della scuola che chiede tre settimane di Dad per avere il tempo di organizzare meglio il rientro, il governatore della Campania Vincenzo De Luca passa dalle parole ai fatti e decide che le lezioni nella sua regione non riprenderanno fino a fine gennaio per le primarie e le secondarie di primo grado.
Secondo il governatore De Luca «non ci sono le condizioni minime di sicurezza e la possibilità di offrire collaborazione adeguata alle autorità scolastiche da parte delle autorità sanitarie, che sono alle prese con decine di migliaia di contagi. Le Asl dovrebbero fare in media 3mila tamponi al giorno per accompagnare le autorità scolastiche nel controllo del contagio nelle scuole. Non è possibile, per il livello di personale che abbiamo, perché dovremmo perdere una settimana di tempo per dare i risultati. Come si fa a immaginare di andare avanti così? E tuttavia siamo il Paese del fare finta, l’importante è prendere le decisioni a Roma. Ho la sensazione – ha aggiunto De Luca in diretta Facebook – che si mettano in piedi provvedimenti che finiscono per trasformare i nostri bambini in cavie sull’altare della politica politicante, dell’opportunismo e degli ideologismi. Questo capita quando si fanno scelte a prescindere da quella che è la realtà. C’è qualcuno che possa sostenere che aprire le scuole nel caos totale sia una misura che favorisce la didattica, la formazione, l’equilibrio psicologico dei nostri bambini? E’ esattamente il contrario, chi prende decisioni cervellotiche e non rapportate alla realtà vera dell’Italia è nemico della scuola, non amico».