C’è una barriera “invisibile” che protegge dal Covid e dalle sue varianti (Omicron compresa) ed è costituita da alcuni anticorpi naturali presenti nel nostro organismo sin dalla nascita. Si chiama immunità innata e potrebbe essere la risposta definitiva che consentirà di mettere a punto nuovi farmaci mirati contro il virus e marker per misurare la gravità della malattia.
È il risultato di una ricerca internazionale, pubblicata su Nature Immunology e coordinata dall’Istituto Humanitas e dall’Ospedale San Raffaele di Milano, che ha coinvolto anche Fondazione Toscana Life Science con Rino Rappuoli, l’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona e la Queen Mary University di Londra. L’attenzione degli scienziati si è focalizzata in particolare sulla Mannose Binding Lectin (in sigla Mbl), uno dei cosiddetti «antenati funzionali degli anticorpi», proteine in grado di aggredire il virus con modalità simili a quelle degli anticorpi veri e propri, che però fanno parte dell’immunità innata. Questo spiegherebbe come una minima parte della popolazione italiana e mondiale, dopo due anni di pandemia e lo stretto contatto con familiari, parenti e amici positivi al Covid non si sia mai ammalata.
L’immunità innata costituisce la prima linea di difesa nei confronti di virus, batteri e non solo. Ne fanno parte cellule del sistema immunitario che con diversi meccanismi aggrediscono gli agenti patogeni organizzando una risposta tempestiva nell’attesa che l’organismo si attrezzi per la difesa mirata (immunità adattiva), che si esprime attraverso gli anticorpi veri e propri. Esiste però anche una parte dell’immunità innata formata da molecole circolanti (per questo detta umorale) a cui appartiene, fra le altre, anche Mbl.
La ricerca sull’interazione tra Covid e immunità innata parte subito, ad inizio della pandemia, nel marzo 2020. «Abbiamo scoperto che Mbl si lega alla proteina Spike del virus e la blocca — spiega il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente di Humanitas University —. E abbiamo verificato che è in grado di farlo con tutte le varianti testate, compresa Omicron».«Ciò è reso possibile dal fatto che Mbl si aggancia a determinati “zuccheri” della proteina Spike, che non cambiano da variante a variante» precisa Elisa Vicenzi, capo dell’ Unità Patogenesi Virale e Biosicurezza dell’Irccs Ospedale San Raffaele, che aggiunge: «In vitro Mbl si è dimostrata poco meno potente degli anticorpi prodotti da pazienti guariti da Covid». «Con la professoressa Cecilia Garlanda , che ha partecipato al coordinamento dello studio, stiamo procedendo a ottimizzare Mbl per capire se sarà possibile trasformarla in un farmaco» riprende Mantovani. «La strada è lunga ma è importante cercare di avere altre armi a disposizione contro il virus. Fra l’altro Mbl è già stata infusa da altri ricercatori e clinici come terapia in soggetti con completo deficit genetico ed è stata ben tollerata».
Un altro utilizzo di Mbl potrebbe essere quello di marcatore del grado di severità di Covid-19. «Abbiamo riscontrato che varianti genetiche che producono differenti quantità di Mbl circolante sono associate a diversa gravità di malattia» chiarisce Mantovani. «E questo rappresenta un tassello in più nella comprensione di quali caratteri genetici influenzano la suscettibilità al virus».