La Turchia ha adottato un duplice approccio alla crisi ucraina, da un lato appoggiando i suoi alleati della Nato e dall’altro offrendosi come un’ancora di salvezza per la Russia colpita dalle paralizzanti sanzioni occidentali. Erdogan per un verso sfida Mosca fornendo droni da combattimento all’Ucraina e, per altro verso, cerca di aumentare la prospettiva di una cooperazione con Mosca, cercando abilmente di dirottare in Turchia i capitali degli oligarchi sottoposti a sanzione. La Turchia, infatti, pur avendo condannato senza mezzi termini l’attacco russo, definito «inaccettabile», ha detto no alle sanzioni economiche nei confronti di Mosca e non ha chiuso lo spazio aereo. Una scelta che gli ha consentito di limitare l’impatto sull’economia turca permettendo a Erdogan di rimanere una delle poche voci che Putin si è mostrato disposto ad ascoltare.
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Il presidente turco facendo valere gli ottimi rapporti con il presidente russo Putin e con il presidente ucraino Zelensky è riuscito a ritagliare per le proprie iniziative diplomatiche uno spazio indipendente dalla Nato e dall’Ue. Ma da Antalya, località costiera della Turchia dove si sono incontrati i ministri degli Esteri di Mosca e Kiev, Sergej Lavrov e Dimitri Kuleba, non arrivano buone notizie. «Purtroppo non c’è stato alcun progresso nell’incontro con Lavrov. Non sono stati compiuti passi in avanti sul cessate il fuoco, ma l’Ucraina non si arrenderà», ha detto Kuleba.
Meno di 24 ore prima della conferma dell’incontro Erdogan, in una telefonata di un’ora ha detto, aveva ribadito a Putin l’urgenza di «compiere un passo verso la pace». Una storia quella dei rapporti tra Erdogan e Putin caratterizzata da intese trovate nonostante le posizioni di partenza fossero diverse. In Siria la Russia ha sostanzialmente mantenuto in vita e rimesso sul trono Bashar el Assad, che Erdogan accusa da anni di essere un «criminale spietato, assassino di civili». Nonostante questo i due Paesi hanno dato vita ai colloqui di Astana con l’Iran e Mosca ha approvato ad Ankara un’operazione militare nel nord ovest della Siria, che ha permesso ai turchi di sottrarre Afrin ai curdi del Pyd-Ypg nel 2018. Sempre in Siria Erdogan e Putin hanno raggiunto un’intesa sul controllo e la demilitarizzazione della turbolenta provincia di Idlib. Un’intesa messa alla prova 2 anni fa, quando 34 militari turchi morirono dopo un bombardamento sferrato da piloti del regime di Damasco e russi.
Ben più complesso è stato quanto avvenuto nel decennale conflitto tra Armenia e Azerbaigian in Nagorno Karabakh. L’Azerbaigian è un Paese satellite della Turchia, la Russia da sempre vicina all’Armenia, che per Mosca rimane importante per difendere i propri interessi e confini nel Caucaso meridionale. Nonostante le premesse non certo favorevoli Erdogan e Putin hanno sfruttato l’enorme influenza dei propri Paesi sulle parti del conflitto, imposto una tregua e spinto a una soluzione politica che ha permesso di fermare le ostilità.
Bisogna andare indietro nel tempo, al 25 novembre 2015, per trovare la più grossa crisi diplomatica nella storia delle relazioni Russia-Turchia, con un pesantissimo scambio di accuse e minacce durato mesi, subito dopo l’abbattimento di un jet russo al confine siriano da parte dell’esercito di Ankara. La ricomposizione del dissidio rappresenta una vittoria della realpolitik sull’orgoglio di Erdogan, consapevole di guidare un Paese costretto a importare più del 90% del proprio fabbisogno di gas dall’estero, il 60% del quale proprio dalla Russia. Il presidente turco finì al centro di roventi polemiche in Turchia, accusato di mettere in ginocchio l’economia di un Paese in cui il turismo costituisce il 13% del Pil e in cui i russi sono sistematicamente al primo posto per presenze ogni anno (tra i 5 e i 9 milioni). Le scuse di Erdogan, giunte mesi dopo l’abbattimento del jet russo al confine, furono il primo passo di quello che nessuno avrebbe immaginato sarebbe diventata una amicizia duratura con Putin.