Dopo il il clamoroso nulla di fatto della riunione dei ministri dell’energia dell’Ue sul tetto al prezzo
del gas, si attendono per questa settimana le proposte della Commissione europea per mettere un freno alla crisi energetica. Prosegue dunque la maratona per cercare di correre ai ripari prima che la situazione degeneri con l’arrivo dell’inverno. Già l’elenco di toppe che i governi europei si sono affannati a mettere nell’ultimo anno è impressionante. Per non parlare della montagna di soldi pubblici. Francia, Spagna e Germania hanno iniettato cifre da capogiro per arginare la crisi.
In Italia, sinora, sono stati stanziati dal governo 45 miliardi di aiuti diretti all’azzeramento degli oneri di sistema e dell’Iva sulle bollette, a partire da metà 2021. Ma nonostante questo, secondo una stima della Cgia di Mestre, le famiglie e le imprese subiranno quest’anno un rincaro di 82,6 miliardi rispetto al 2021. Poi Draghi è andato a caccia di nuovi fornitori per diversificare i flussi in ingresso e affrancarsi dalle forniture di gas russo. Snam ha acquistato tre rigassificatori galleggianti, per una spesa di quasi un miliardo di euro. Sono state riavviate le centrali a carbone che sembravano destinate al pensionamento per complessivi 7.000 MW. È stata avviata la procedura per riprendere le estrazioni di gas (ma non le esplorazioni) da giacimenti nei mari italiani, che dovrebbero procurare a regime (tra due anni, forse) 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
Dopo mesi di incertezze, qualche giorno fa il ministro Roberto Cingolani ha presentato il suo piano per il «risparmio» di gas, teso ad abbattere la domanda per equilibrare il mercato rispetto all’offerta. L’Unione europea ha deciso di affiancare a questo piano anche un taglio secco dei consumi di energia elettrica nelle ore di picco, con meccanismi ancora da scoprire. Questa frenetica corsa a tamponare situazioni critiche non è certo terminata. Ma faremmo bene a ricordare di come, in un passato non troppo remoto, la situazione era ben diversa.
La filiera della produzione, del trasporto e della distribuzione tanto del gas quanto dell’elettricità era stata nazionalizzata ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, divenendo oggetto della “proprietà collettiva demaniale del popolo”, sottratta in questo modo alle bizze del mercato, con le sue variazioni improvvise che avrebbero potuto mettere in difficoltà gli italiani. La gestione della filiera era affidata a due enti pubblici, Eni ed Enel, che non avevano il compito di ammontare profitti ma soltanto coprire i costi. Il ricavato finiva in ogni caso nelle casse dello Stato. Un epoca che sembra lontanissima, spazzata via dalle privatizzazioni.
Agli inizi degli anni Novanta, iniziò a imporsi l’idea che tutto dovesse finire sul libero mercato. Una trappola nella quale cadde anche l’Italia, presa per la gola dall’Europa che minacciava di escluderla dall’Unione. E della quale si fece sponsor l’attuale premier Mario Draghi: Eni ed Enel vennero così trasformate in Società per azioni nel 1992 dal governo Amato. L’inizio di un disastro di cui paghiamo oggi le conseguenze. Colpo di grazia fu poi il decreto Letta del 2000, che “liberalizzò” la produzione e la distribuzione del gas in modo da renderlo più utile per gli operatori del settore che per gli italiani, e il decreto Bersani, che ebbe le stesse conseguenze nel ramo dell’energia.
Il mercato europeo dell’energia era quindi disfunzionale ben prima che lo shock esterno dato dalla diminuzione del flusso di gas dalla Russia lo rendesse evidente. L’insufficiente diversificazione dei fornitori esterni, il mancato sfruttamento delle risorse nazionali, la carenza di rigassificatori, un mix produttivo troppo dipendente da una sola fonte (a sua volta troppo dipendente da un unico fornitore) hanno fatto il resto. Tutte le misure prese sin qui per salvare il mercato energetico da sé stesso prevedono interventi massicci e diretti dello Stato. Gli stessi che hanno innalzato a totem il libero mercato e proibiscono gli aiuti di Stato, oggi cercano riparo sotto il protettivo mantello dell’intervento pubblico.