Una decisione che continua a far discutere quella della Corte Costituzionale, che si è pronunciata sulla legittimità dell’obbligo vaccinale e delle conseguenze derivanti dal suo inadempimento. In attesa di leggere le motivazioni della Consulta, tuttavia, alcune riflessioni possono essere fatte, uscendo dalla comoda e falsante divisione tra «integrati» al metodo Speranza e la galassia «no vax». A partire dal titolo della nota per i media diffusa giovedì scorso: «Obbligo vaccinale a tutela della salute». Un’espressione a suo modo molto eloquente che ignora, per esempio, l’equilibrio tra «salute» e «lavoro», in una Repubblica democratica fondata sul secondo.
Ancora più significativa e gravida di conseguenze è la frase successiva: «Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario». Anche qui, come logico, faranno testo e, soprattutto giurisprudenza. solo le motivazioni dei giudici. Però l’inciso «in periodo pandemico» non può non suscitare qualche perplessità. Vuole significare che in un altro periodo le stesse decretazioni e gli stessi obblighi sarebbero stati irragionevoli e sproporzionati? Estremizzando: si possono fare cose incostituzionali perché la situazione lo richiede? E chi decide sullo «stato di eccezione»?
A creare maggiori perplessità è soprattutto la parte della decisione secondo la quale, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione dal lavoro, è legittimo privare il lavoratore non solo dello stipendio, ma anche di «un assegno a carico del datore di lavoro», ovvero l’assegno alimentare previsto per lavoratori sospesi «in misura non superiore della metà dello stipendio». Un passaggio che fa sorgere inquietanti dubbi sulle possibili conseguenze della sentenza. Come spiegato da Il Domani, infatti, il dubbio è che «precludere ai lavoratori non vaccinati ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari potrebbe violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Limiti che definiscono il concetto di “dignità” della persona e che secondo la stessa Costituzuone italiana non possono essere oltrepassati “in nessun caso”.
E invece la decisione della Corte sembra aver almeno parzialmente ribaltato il piano: la salute sembra ora prevalere sui diritti al lavoro e al sostentamento, fino addirittura ad annullarli. E pensare che la stessa Corte Costituzionale, nel 2013, pronunciandosi sul caso Ilva di Taranto aveva sottolineato come i diritti fondamentali «si trovano in un rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuarne uno che abbia la prevalenza assoluta sugli altri». Sarà necessario attendere le motivazioni della sentenza, ma la sensazione è che si finirà per giustificare la scelta con il carattere “eccezionale” della pandemia. Risultato? In futuro, di fronte a nuove situazioni ritenute critiche, la dichiarazione dello stato di emergenza potrà giustificare ulteriori compressioni dei diritti.