La pandemia ha generato nuove forme di discriminazione e divisione sociale a scapito di coloro che si sono detti incerti o contrari al vaccino e alle imposizioni dei governi: a provarlo è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, che fa luce sul trattamento riservato a questi ultimi nel corso dell’emergenza sanitaria. E su questi atteggiamenti discriminatori un ruolo importante hanno giocato le politiche messe in campo dai vari Stati durante la pandemia: «Alcuni di essi hanno giustificato politiche severe contro i non vaccinati usando una retorica altamente moralistica».
«Sebbene la comunicazione moralistica delle responsabilità collettive possa essere una strategia efficace per aumentare le vaccinazioni, essa può avere conseguenze negative non intenzionali suscitando pregiudizi, si legge infatti nello studio. Un problema, quest’ultimo, non da poco: le società potrebbero uscire dalla pandemia “più divise” di quanto erano, e dunque non a caso nello studio viene sottolineato che i risultati emersi «offrono anche una lezione per le altre sfide globali».
Coinvolgendo oltre 15.000 persone appartenenti a 21 paesi, il lavoro scientifico ha infatti dimostrato che i soggetti vaccinati hanno messo in campo «atteggiamenti discriminatori nei confronti degli individui non vaccinati». Ad eccezione di Ungheria e Romania, infatti, i ricercatori hanno trovato in tutti i paesi analizzati prove a sostegno della discriminazione da parte delle persone vaccinate, che hanno riservato ai non vaccinati un trattamento uguale (o anche peggiore) a quello generalmente dedicato agli immigrati, ai tossicodipendenti ed agli ex detenuti.
Gli atteggiamenti discriminatori, espressi tramite forme come “l’affettività negativa” ed il sostegno alla “rimozione dei diritti politici”, sono inoltre stati attuati in maniera maggiore nei paesi “con norme cooperative più stringenti”, coerentemente con alcune “precedenti ricerche sulla psicologia della cooperazione” secondo cui anche nel campo delle vaccinazioni gli individui reagiscono negativamente contro i cosiddetti “free-riders”. In tal caso, ciò di cui avrebbero beneficiato i non vaccinati sarebbe stato il “controllo dell’epidemia”, con gli individui vaccinati che avrebbero “contribuito” al suo perseguimento e di conseguenza reagito tramite “atteggiamenti discriminatori nei confronti dei percepiti free-riders (ovvero gli individui non vaccinati)”.
Ma la decisione di non vaccinarsi può basarsi su diverse motivazioni, non riconducibili alla semplice volontà di non cooperare. In tal senso, nello studio viene menzionata “una recente revisione” relativa ai “paesi ad alto reddito”, dalla quale è emerso che «anche se gli stereotipi negativi sono statisticamente veri, è improbabile che catturino adeguatamente le motivazioni complete di ogni individuo». Una persona non vaccinata, infatti, può rifiutarsi di sottoporsi alla vaccinazione per svariate ragioniì: determinate condizioni mediche, una immunità da precedenti infezioni, esperienze passate negative con le autorità sanitarie o considerazioni etiche sull’equità dei vaccini.
L’odio nei confronti dei non vaccinati, dunque, sarebbe in tali casi ingiustificato. Mentre gli individui vaccinati hanno generalmente discriminato i non vaccinati, pare che questi ultimi non si siano comportati allo stesso modo. In tal senso, nello studio si legge che non vi sono prove secondo cui gli individui non vaccinati si sarebbero rifatti ad atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone vaccinate, e solo in Germania e negli Stati Uniti vi sarebbe una sorta di astio. In questi due paesi, infatti, è stata riscontrata «una certa antipatia nei confronti degli individui vaccinati», anche se comunque non sono emerse «prove statistiche a favore di stereotipi negativi o atteggiamenti di esclusione» da parte dei non vaccinati.
Un dettaglio importante, soprattutto se si considera che gli atteggiamenti discriminatori da parte dei vaccinati sono risultati “culturalmente diffusi”, essendo i 21 paesi inclusi nello studio situati in tutti i continenti abitati. È proprio per questo, dunque, che non si può non porre la lente di ingrandimento sulle politiche dei vari Stati. Secondo gli autori della ricerca, questo comportamento può ostacolare la gestione della pandemia e lasciare la società più divisa di quanto non fosse prima della pandemia.