«È finito il Covid. Non il post Covid». Il governatore del Veneto, Luca Zaia, dopo che l’Oms ha dichiarato conclusa la pandemia, in un’intervista al Corriere della Sera, sottolinea che «dobbiamo ancora ritrovare la pacificazione sociale». Ma la narrazione terroristica prosegue alternando, secondo la consueta strategia, le rassicurazioni alle minacce. L’obiettivo è chiaro: cronicizzare le misure presentate come salvifiche, togliere i diritti costituzionali in virtù dell’emergenza.
Adesso che l’Oms ha decretato la fine dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 si avverte la voglia dei più di voltare pagina, di mettersi alle spalle questi anni tremendi e di mandare in soffitta ogni residua discussione. Ma lo stesso direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha affermato in maniera apocalittica che «questo virus è ancora qui per rimanere. Sta uccidendo e mutando. Il rischio di nuove varianti sta emergendo e causando nuovi picchi di casi e di morti». Insomma, da un lato si allenta la pressione ma dall’altra si brandisce ancora il terribile flagello per prepararsi a nuove emergenze.
Anche il professore Giuseppe Remuzzi in un’intervista al Corriere della Sera ha sostenuto la stessa tesi: «Una pandemia finisce davvero solo quando ne comincia un’altra». Come a voler prospettare una emergenza infinita. Dall’altro lato della barricata c’è chi vorrebbe cancellare questi tre anni e gli ulteriori strascichi. Lo scrittore Paolo Giordano, sempre dalle colonne del Corriere della Sera, scrive che il Covid è argomento di discussione solo per negazionisti o complottisti.
In mezzo però ci tutte le norme illiberali dell’epoca pandemica, che oggi più di allora appaiono eccessive, sproporzionate, inadeguate, inefficaci, vessatorie, discriminatorie, punitive. È questo il nodo che tanti sembrano non voler affrontare o addirittura eludere. Si avverte una certa idiosincrasia nei confronti di qualsiasi indagine o approfondimento sui tanti episodi controversi legati al triennio pandemico. Come ad esempio il modo in cui è stato utilizzato il Green Pass. Dapprima, è stato descritto come il certificato che avrebbe dovuto garantire ambienti protetti dal contagio e poi, di fronte alle proteste, è stato spacciato come mezzo indispensabile per il ritorno alla vita normale. Non va dimenticato che il clima di tensione verso i dubbiosi e i critici rispetto alla gestione sanitaria liberticida: l’intolleranza, la polarizzazione della società, la caccia al capro espiatorio sono stati creati dall’intreccio inestricabile tra la normativa dispotica e la narrazione dominante.
Peraltro, questo tipo di narrazione prosegue pure a pandemia finita. Almeno in Italia, chiunque non si allinei ai precetti pandemici viene additato come un fanatico, complottista, negazionista, fino ad arrivare al più dispregiativo tra gli epiteti: quello di “no vax” che è ormai diventato il paria di questa società moderna fondata su precetti sanitari contrari ai diritti. Ecco perché la “pacificazione” chiesta da Luca Zaia non può significare “rimozione”, né condanna all’oblio.