Il suo credo è la lotta armata. Il Jihad islamico, accusato da Israele di essere responsabile dell’esplosione all’ospedale al Ahli di Gaza, è il secondo gruppo armato più grande della Striscia che tra le altre cose aveva affiancato Hamas nell’attacco nel sud di Israele del 7 ottobre. Attualmente il Jihad Islamico sostiene di avere sotto il suo controllo una trentina di ostaggi israeliani e nelle ultime settimane ha continuato a lanciare razzi verso Israele, dimostrando di possedere un cospicuo arsenale (sarebbe stato proprio uno di questi razzi a colpire per errore il parcheggio dell’ospedale nella città di Gaza martedì sera).
Nato nel 1981, il Jihad islamico è diventato l’alleato privilegiato degli ayatollah. Oggi è il secondo gruppo armato più grande nella Striscia di Gaza dopo Hamas: è considerato un gruppo terroristico da Israele, dagli Stati Uniti e dalla gran parte dei paesi europei. A differenza di Hamas, il suo ambito di azione non include praticamente la politica ed è concentrato soprattutto sulla lotta armata. Il gruppo non ha sviluppato nemmeno grandi capacità amministrative o di sostegno alla vita quotidiana della popolazione della Striscia, rifiuta ogni discussione o negoziato che possa portare alla pace con Israele e ritiene la sconfitta militare di Israele l’unico mezzo per ottenere il suo obiettivo: stabilire uno stato islamico nell’intera area della Palestina.
Negli ultimi anni il Jihad Islamico è cresciuto in mezzi e numeri. Le Brigate al Quds sono l’ala militare del gruppo: la loro organizzazione in piccole cellule, coordinate ma indipendenti, rende complesso stimare il numero dei miliziani. L’ intelligence statunitense per l’estero ritiene che siano almeno mille, altri rapporti li stimano in alcune migliaia. Fondato dal medico palestinese Fathi Shaqaqi e dal predicatore musulmano Shaykh Abd al-Aziz Awda. I due fondatori si trovavano allora in Egitto, dove furono ispirati dal movimento islamista dei Fratelli Musulmani e dalla Rivoluzione iraniana del 1979. Nonostante sia un movimento islamista sunnita, i discorsi del religioso sciita Ruhollah Khomeini, leader della rivoluzione in Iran, ebbero un forte impatto sulla sua fondazione e oggi l’Iran è considerato il più grande finanziatore del gruppo. Fonti statunitensi stimano in decine di milioni di dollari all’anno i fondi ricevuti dal gruppo dall’Iran, ma finanziamenti arrivano anche dalla Siria e da privati.
Dopo alcuni mesi, i fondatori del Jihad Islamico furono espulsi dall’Egitto e si stabilirono della Striscia, dove iniziarono la lotta armata contro Israele a partire dal 1984. Dal 1988 spostarono la loro sede operativa in Libano e dal 1990 nella capitale siriana Damasco, dove si trova tuttora: esistono sedi distaccate del gruppo anche a Beirut (Libano), Teheran (Iran) e Khartum (Sudan). Il Jihad Islamico reclutò inizialmente attivisti musulmani e studenti dell’Università islamica di Gaza, ma anche membri del partito laico palestinese Fatah e del partito marxista Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.
L’obiettivo era fin da subito la distruzione dello stato d’Israele: il Palestinian Islamic Jihad considera il conflitto arabo-israeliano una guerra ideologica e non una disputa territoriale, motivo per cui ha sempre rifiutato ogni tipo di compromesso ed è accusato di aver boicottato ogni tentativo di tregua o riavvicinamento, compresi gli accordi di Oslo del 1993, quelli con cui palestinesi e israeliani si riconobbero per la prima volta come legittimi interlocutori. Nonostante obiettivi e idee di fondo siano comuni, il Jihad Islamico e Hamas restano gruppi per certi versi rivali, divisi da distanze personali fra i leader, oltre che da differenti convinzioni strategiche. Rivalità messe da parte nell’assalto del 7 ottobre ai kibbutz, incursione che ha permesso ai mujaheddin della Jihad di prendere la loro quota di ostaggi.