«Rimetteremo in piedi l’Argentina e tra 25 anni saremo una potenza mondiale, la faremo finita col modello peronista che ha impoverito il Paese». Con queste parole Javier Milei ha commentato la sua vittoria al ballottaggio che lo ha eletto nuovo presidente dell’Argentina. Un risultato non scontato fino ad agosto, quando si sono svolte le primarie in vista delle elezioni. Alla fine, però, Javier Milei ce l’ha fatta: il candidato dell’estrema destra, definito un “anarco-capitalista”, ha ottenuto il 56% dei voti al ballottaggio contro il candidato peronista progressista Sergio Massa (44,04%).
Nel primo discorso dopo le elezioni, quando era già chiara la sua vittoria, Milei ha detto che «la situazione dell’Argentina è critica. I cambiamenti che servono al nostro paese sono drastici. Non c’è spazio per la gradualità». Ha anche chiesto al governo precedente di «farsi carico delle proprie responsabilità per arrivare alla fine del mandato, il 10 dicembre», quando si insedierà Milei. Secondo molti analisti, una delle sfide maggiori per Milei all’inizio del suo mandato sarà trovare alleati politici che appoggino le sue proposte più radicali. Nonostante abbia vinto le elezioni con una maggioranza molto ampia, il suo movimento politico è molto giovane e non detiene posizioni di potere in Argentina: per esempio nessun governatore provinciale è del suo partito. Inoltre in parlamento dovrà probabilmente allearsi con Uniti per il Cambiamento, il partito di centrodestra di Macri e Bullrich, che ha molti più parlamentari di quello di Milei.
“Viva la libertà, maledizione”: è questo il motto di Javier Milei, 53 anni, che già dal primo turno ha impostato la campagna elettorale in modo fortemente anticonvenzionale, con una grande componente di teatralità: messaggi semplici e estremi, accompagnati da gesti, retorica e atteggiamenti fortemente populisti. Milei è stato capace di scalare in pochi anni i vertici della politica, cavalcando lo scontento e la rabbia per la grave crisi economica del suo Paese. Proprio la situazione di iperinflazione e il crollo del tasso di cambio lo spinsero, negli Anni Ottanta, a studiare economia fin dall’età di 11 anni, per poi proseguire all’Università fino a diventare professore e conferenziere in patria e all’estero. Il suo nome ha acquisito un’autorevolezza anche tra le alte sfere istituzionali: è stato capo economista presso la Maxima Administradora de Fondos de Jubilaciones y Pensiones e consulente governativo presso il Centro Internazionale per il regolamento delle controversie in materia di investimenti. È inoltre membro di B20, il Gruppo di politica economica della Camera di Commercio Internazionale, e del World Economic Forum.
Per combattere l’inflazione e la costante svalutazione del peso argentino aveva promesso di rendere effettiva la dollarizzazione, ossia l’abbandono della moneta nazionale a favore del dollaro. Durante la sua campagna elettorale, Milei aveva trattato principalmente di temi economici, ma aveva espresso posizioni estreme su quasi ogni argomento: si era detto fortemente contrario all’aborto e alle diagnosi prenatali, ma favorevole alla vendita degli organi, considerati una «risorsa economica» a cui qualcuno può essere costretto ad accedere. Tra il primo e il secondo turno le sue posizioni si erano però ammorbidite, probabilmente nel tentativo di aumentare i propri consensi al centro.
Dal punto di vista delle idee politiche, il nuovo presidente argentino si presenta come un ultraliberista e anarco-capitalista, in aperta critica col sistema peronista e con una «casta politica corrotta» che è stato capace di risollevare il Paese. Da un lato rifiuta di appartenere ideologicamente all’ultradestra reazionaria, mentre dall’altro ha aderito alla Carta di Madrid, documento promosso dal partito dell’estrema destra spagnola Vox che condanna l’espansione del comunismo in America Latina. In nome di questo ideale, il novello Capo di Stato prepara una nuova rivoluzione politica argentina, che rischia di portare il Paese su posizioni reazionarie già sperimentate in passato. La nuova rotta argentina potrebbe così alterare gli equilibri geopolitici globali, destabilizzando ulteriormente la situazione dei blocchi internazionali già messa a durissima prova dalla guerra in Ucraina e dal conflitto in Medio Oriente.
In sostanza, il programma della neonata amministrazione Milei propone una “rivoluzione” anche in campo socio-economico, ben più audace di quella voluta dal Fondo Monetario Internazionale per risanare i conti pubblici del Paese. Il tutto “scegliendo” il dollaro, come tuonano funzionari russi e cinesi, e tradendo così la causa dei BRICS. L’Argentina, insieme ad Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti e Iran è invitata ad aderire allo schieramento geopolitico dal 1° gennaio 2024. Durante la campagna elettorale, Milei si è tuttavia mostrato riluttante a consentire all’Argentina l’adesione ai BRICS e ha anzi dichiarato che non avrebbe promosso«“accordi con i comunisti perché non rispettano i parametri fondamentali del libero scambio, della libertà e della democrazia».