Non solo la grammatica o la matematica. Alla scuola italiana si chiede sempre più spesso di insegnare le regole della vita, soprattutto sull’onda emotiva dei fatti di cronaca che coinvolgono i ragazzi. Negli ultimi mesi i femminicidi e i fatti di violenza che hanno sconvolto l’Italia, da Caivano a Palermo, fino ad arrivare al recentissimo della ventiduenne Giulia Cecchettin hanno spesso invocato come risposta la necessità di educare i giovani all’affettività e alla sessualità.
In alcuni Paesi i programmi di educazione all’affettività e alla sessualità, integrati nei percorsi educativi formali, sono attivi da decenni. Dando la possibilità anche di valutarne gli effetti. Solo per restare nei confini europei, in Svezia l’educazione sessuale è diventata materia obbligatoria, integrata nei corsi curriculari delle scuole fin dal 1955. In Germania ciò è avvenuto nel 1968, mentre in Francia è diventata legge dal 2001. Secondo un recente rapporto UNESCO, su 25 paesi europei presi in esame solo 10 possono vantare un programma di Comprehensive Sexuality Education (CSE) curricolare a scuola, ossia percorsi di educazione affettiva sessuale che non si limitino solo a raccontare come funzionano gli apparati riproduttivi e come evitare gravidanze indesiderate o malattie sessualmente trasmissibili. Al contrario, sviluppano il tema con un approccio olistico che comprende l’educazione alle emozioni, alle relazioni, al rispetto e al consenso.
L’Italia è uno dei pochi paesi europei dove l’educazione sessuale nelle scuole non è obbligatoria per legge, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Anche se molte scuole organizzano attività di educazione affettiva, ma le iniziative sono frammentate e in alcuni casi si scontrano con l’opposizione dei docenti, che non vogliono rinunciare alle proprie ore di lezione, o dei genitori, preoccupati per i temi che verranno trattati. Le attività formative adottano per lo più un approccio ormai considerato obsoleto dagli esperti, che tende a concentrarsi più sull’ambito sessuale che su quello affettivo e sentimentale: si fa molta prevenzione sulle malattie sessualmente trasmissibili e sulle gravidanze indesiderate, ma non si dedica altrettanta attenzione all’esplorazione della sfera emotiva, ai rapporti tra persone di genere diverso e all’importanza del consenso.
Per questo le principali linee guida internazionali sul tema adottano da tempo il termine “educazione sessuale estensiva” (spesso indicata con l’acronimo CSE, comprehensive sexual education), un concetto che nel 2018 l’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa anche di istruzione, definì come «insegnamento e apprendimento sugli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità».
In Italia questa interpretazione dell’educazione sessuale non ha ancora attecchito. Nell’ottobre del 2022 il progetto EduForIST ha diffuso uno studio in cui analizza le varie attività di educazione sessuale e affettiva portate avanti nelle scuole italiane tra il 2016 e il 2020: su 219 iniziative monitorate, solo 62 (meno del 30%) sono state caratterizzate come CSE, mentre 75 si concentravano principalmente sulle malattie sessualmente trasmissibili.