Il 28 novembre è morta Anna, una donna di 55 anni malata di sclerosi multipla progressiva. E per la prima volta il Servizio sanitario nazionale si è fatto carico delle spese mediche necessarie per garantire l’accesso al suicidio assistito di una cittadina italiana. Lo ha reso noto l’associazione Luca Coscioni, specificando che Anna è stata «la prima italiana ad ottenere il suicidio assistito in Italia con l’assistenza completa del Servizio sanitario nazionale», che ha coperto le spese per il farmaco letale e per ottenere le strumentazioni necessarie per completare la procedura.
Il suicidio assistito è avvenuto sotto la supervisione di un medico individuato dall’azienda sanitaria che, su base volontaria, ha assistito Anna senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco, azione che è rimasta «di esclusiva spettanza» della paziente, ha spiegato l’associazione Luca Coscioni.
Una battaglia vinta per la donna, di cui per sua stessa volontà non sono state rese note le generalità ma che ha indicato come nome fittizio quello di Anna, che nell’ultimo messaggio ha ribadito di aver amato la vita e poi di aver scelto liberamente: «Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere».
La donna triestina era affetta da sclerosi multipla progressiva: una diagnosi ricevuta nel 2010. Come evidenziavano i referti medici – e ricostruisce l’associazione Coscioni che ha seguito il caso – Anna si esprimeva con voce flebile e ipofonica, ma era vigile e lucida. Era completamente dipendente dall’assistenza. Il 4 novembre 2022 aveva inviato all’Azienda sanitaria universitaria la richiesta di verifica delle sue condizioni per accedere alla morte assistita. Dopo mesi di attesa senza risposte, aveva depositato ai carabinieri una denuncia per rifiuto/omissione d’atti d’ufficio nei confronti dell’Azienda sanitaria e presentato un ricorso d’urgenza dinanzi al giudice civile. Il Tribunale di Trieste aveva quindi chiesto che l’Azienda disponesse verifiche e accertamenti sul caso. A settembre era quindi arrivato il via libera dalla Commissione medica multidisciplinare per accedere al suicidio assistito.
In Italia il suicidio assistito, cioè la possibilità di auto-somministrarsi un farmaco letale a determinate condizioni, è legale non grazie a una legge del Parlamento, che non ne ha mai approvate sul tema, ma dopo una storica sentenza della Corte Costituzionale del 2019, arrivata dopo anni di iniziative, appelli e infine di disobbedienze civili in cui si chiedeva più libertà sulle scelte individuali di fine vita. Non essendo una legge, però, la sentenza stabilisce solo quando il suicidio assistito non è punibile, senza dare indicazioni chiare su tempi e modalità di attuazione: la Corte ha chiesto al Parlamento in più occasioni di intervenire e approvare una norma, finora senza successo. C’è una proposta ferma al Senato e nel frattempo ogni caso è affidato volta per volta alla gestione delle singole aziende sanitarie locali.
L’assenza di una legge ha avuto conseguenze enormi per chi negli ultimi anni voleva ricorrere al suicidio assistito: c’è chi è morto prima di riuscire ad accedervi, chi ha dovuto intraprendere una lunga battaglia legale e chi alla fine ha scelto di andare all’estero. Federico Carboni, la prima persona a ricorrere al suicidio assistito in Italia, aveva dovuto personalmente farsi carico del farmaco, trovare un medico che glielo prescrivesse e un macchinario; Gloria, la prima persona in Italia a morire attraverso il suicidio assistito senza dover passare per un tribunale, aveva ricevuto dal Servizio sanitario nazionale il farmaco. Nel caso di Anna il Servizio sanitario ha fornito invece farmaco, strumentazione e medico.