Fulvio Cauteruccio, regista e attore, e l’attrice Flavia Pezzo raccontano per i lettori di Pickline Ismene di Ghiannis Ritsos, l’ultima produzione della compagnia teatrale Krypton, andata in scena in prima nazionale al teatro Goldoni di Firenze.
Fulvio, come hai conosciuto Ghiannis Ritsos?
L’ho conosciuto quando ero allievo della scuola di Gasman. Andammo in Calabria a fare il saggio con una tragedia greca. Il direttore artistico Alessandro Giupponi mi volle nella sua Maratona per Ritsos, essendo io un giovane allievo attore calabrese. C’erano Regina Bianchi, Ginny Gazzolo, Massimo Popolizio, Angela Cardile, che interpretava Ismene. Non li ricordo tutti. Sono passati tantissimi anni.
Tu hai fatto una parte?
Sì, quella del soldato che va da Ismene. Lei è l’ultima della famiglia di Edipo. Mi limitavo a dire due o tre cose su ciò che poi sarebbe avvenuto ma come personaggio. Quello è stato il mio primo incontro con quest’autore. I suoi monologhi sono molto belli. È principalmente un poeta, non è un drammaturgo nel senso stretto della parola. Anche se a un certo punto della sua vita lo è diventato.
Come comincia il testo?
Con una didascalia che spiega un po’ la situazione. È un po come la Notte poco prima della foresta di Koltès, dove il personaggio principale parla a un altro muto.
Cosa ti affascina della sua scrittura?
La bellezza della costruzione del testo. Anche se è scritto per il teatro conserva in sé la poesia, la bellezza propria del suono. Non conosco né il greco moderno né quello antico ma sarebbe interessante ascoltarlo nella versione originale, anche se la traduzione di Crocetti è molto bella.
Che tipo di regia hai pensato per quest’opera?
Ismene è un personaggio secondario nella versione sofoclea. È sempre stata ai margini. Si ritrova da sola a riflettere sul passato, sul rapporto con la sua famiglia. Qui è invece protagonista, eroina. Va contro tutto ciò che oggi definiremmo il ‘pensiero unico’. Nella normalità diventa una rivoluzionaria.
In che modo?
Diventa una rock star eroina. Da ragazzo ero un punk. Ascoltavo quella musica, mi comportavo anche in quel modo. Ho recuperato quel passato. L’ho fatta diventare una iconoclasta della famiglia. L’ho fatta cantare, ballare. Ne ho fatto una sorta di Nina Hagen dei giorni loro più che dei nostri.
Che tipo di musica usi?
Comincio con quella dei Depeche Mode. Poi c’è un altro personaggio, il chitarrista di scena che canta anche le canzoni di Èdith Piaf e di Nancy Sinatra. C’è anche Libera me domine, un testo ecclesiastico rifatto dai CCCP.
Una sorta di grande concerto?
Sì. Una piccola operina rock, un po’ sulla falsariga di come fu realizzato Roccu u stortu.
Con quale fine?
Ismene deve indurre a pensare. È un’eroina. Va contro lo status quo delle cose. Il mito racconta il contemporaneo. Anche se Ritsos è già contemporaneo di suo. Ismene è stato finito nel ’67 e messo in scena nel ’68, quindi 57 anni fa. Ha la mia età, però è una scrittura che destruttura il reale e il mito. Ma è anche un inno alla vita, uno spettacolo rivolto alla donna di oggi.
Quali sono i prossimi appuntamenti a teatro?
Lo spettacolo è co-prodotto dal Festival Asti teatro. A maggio andremo lì. Poi successivamente a Primavera dei teatri a Castrovillari in Calabria, e a giugno e luglio a Campania teatro festival a Napoli.
Questa è la tua prima regia come direttore artistico di Kripton?
Sì, e sono contento di debuttare con questo testo.
Come ti trovi in questo nuovo ruolo?
Sicuramente mi impegna molto. Non andrò infatti in scena come attore fino alla fine del 2024 per dedicarmi a questo e per far tornare la compagnia ad avere una maggiore presenza nei teatri italiani.
Flavia, da interprete come hai vissuto il personaggio di “Ismene”?
In maniera intensa e forte. Per me era un lavoro dal grande significato emotivo e interiore.
Hanno inciso alcune tue vicende personali in questa interpretazione?
Sì. Volevo trovare un personaggio in cui riconoscermi, e attraverso cui in qualche modo liberarmi. È una donna che nella versione di Ritsos utilizza finalmente la parola come un’arma, si trasforma, diventa un’eroina.
Un bel viaggio?
Sì, davvero un bel viaggio!
Un aspetto di lei in cui in cui ti sei più riconosciuta?
La forza interiore. In lei c’è la bellezza della catarsi, della liberazione. Lei usa la parola per decidere la propria sorte. Anch’io a un certo punto ho deciso finalmente di vivere la vita che volevo fare da sempre.
Perché?
Come Ismene sono mite. Una donna mite può nascondere in sé, però, una grande forza, una determinazione rispetto a ciò che vuole fare e ciò che vuole essere. Ismene si autodetermina: lei decide di parlare, di sfogarsi ampiamente contro la società, la famiglia.
In cosa non ti riconosci?
Nell’aggressività. Lei aggredisce non solo a parole, ma con la postura, con il modo di muoversi. C’è una sorta di animalità che mi appartiene di meno. Però è molto bello anche poter interpretare un modo di essere diverso dal mio. Per me Ismene è un po’ tutte le donne che non hanno la possibilità di parlare, e allo stesso tempo non vogliono più essere anonime e silenti, che vogliono vivere. In questa Ismene rock c’è un po’ di ogni donna che non ha questa possibilità!