Una storia d’altri tempi. Un nipote di nome Vincenzo scrive in tono confidenziale al nonno. Si chiamava Simone. Ai suoi tempi sarebbe stato inammissibile una cosa del genere. Il suo non è un gesto né di superficialità né di mancanza di rispetto. Nasce da una ragione ben precisa. Anche lui come il nonno, durante la Grande guerra, è al fronte. Anche lui è costretto a tenere la testa bassa per evitare i colpi di un ‘maledetto cecchino’ (p. 11) che mira dritto a lui. C’è una differenza però fra i due. Il nonno fu veramente colpito dal cecchino. Lui, invece, prova in ogni modo a evitare i suoi tiri sempre più infallibili.
Vincenzo non ha conosciuto il nonno. Tutto ciò che sa di lui gli è giunto attraverso il racconto degli altri, compresa la madre. Non ne conosce la ragione ma da un po’ di tempo pensa sempre più spesso a lui, e addirittura quando in treno, diretto verso Napoli, passa da Torre del Greco avverte il bisogno di fermarsi. È questa la ragione per cui vuole raccontare la sua storia.
Sotto i colpi del suo cecchino Vincenzo abbandona i panni del letterato. È solo un uomo. È come tanti. È esposto alla vita o alla morte. È il momento per lui di fare i conti con il suo vissuto reale e immaginario. Il cecchino mira e lui vede dinanzi ai suoi occhi come in uno specchio l’Ospedale dell’Annunziata a Forcella a Napoli: una donna dopo aver partorito abbandona la figlia, di nome Anna; segue la figura di Maria Antonia Vitiello. Non ha figli ma per generosità dà il suo latte ai bambini che le vengono affidati. È sposata con Giovanni, parente di Simone, e fa il carrettiere. I due vivono a Torre del Greco. Alla donna viene affidata Anna, alla quale si affeziona, a tal punto da legittimarla come figlia (p. 21):
[…] Per tutti questi motivi si capisce perché, venuta l’ora della poppata, Maria Antonia si separasse dalle compagne e dalle vicine di casa con la scusa che doveva andare a «a zucà Anna», e non già «a fa’ zucà Anna», come sarebbe stato più logico. E si capisce perché decidesse di non mai più separarsi da quella creatura, adottandola. […]
Nelle pagine successive la scena si sposta a Pagani. Prima nella barberia di Don Alfredo (pp. 23-28), in seguito nella casa dove abita il padre di Simone, Federico, che commercia frutta, e poi di nuovo a Torre del Greco. Simone va a Torre con il padre per conoscere un noto pittore di quella città, il maestro Ascione, e per avviare un’attività come barbiere. Lì si innamora del mare e di Anna. I due si sposano, poi arriva la guerra. Quella stessa guerra (simbolica o reale che sia) che ora tocca anche l’esistenza di Vincenzo. Come un punto circolare di congiunzione fra vite molto diverse fra loro.
Le esistenze del nonno e del nipote sono accomunate da un filo rosso: entrambi sono esposti ai tiri di un Cecchino (il primo reale, il secondo forse simbolico). L’uomo sa che è proprio questa esperienza, cioè della sua vita in balia dei colpi di un nemico che mira ogni giorno a lui, che lo avvicina come non mai al nonno: per la prima volta prova sulla sua stessa pelle ciò che lui ha provato e può capirlo. Per usare una sua espressione (che è una citazione del filosofo Vico) è ‘diventato un po’ meno bestione’, e ha cominciato a conoscerlo. Per capirlo anche lui si è dovuto trovare in trincea (p. 13). Per paradosso l’esperienza della guerra aiuta Vincenzo a ritrovare il suo passato, a fare memoria. Lo aiuta a mettersi nei panni degli altri. Senza ci insegna – con una storia che non è solo del passato ma anche del nostro tempo- ‘non c’è conoscenza’ (p.13).