Per caso mi capita fra le mani Il pericolo di un’unica storia di Chimamanda Ngozi Adichie, tradotto da Andrea Sirotti. Si tratta di un testo esilissimo, scritto forse di pancia. L’autrice esordisce precisando che lei scrive storie. Vuole mettere il lettore al corrente sul pericolo di raccontare ‘un’unica storia’. Lei è cresciuta in un campus universitario, in Nigeria. Ha cominciato a leggere e a scrivere prestissimo. Leggeva libri americani per bambini, e scriveva storie in cui i personaggi bevevano la birra allo zenzero, senza averla mai provata. Questo per lei è una dimostrazione lampante di come si è suggestionabili dinanzi a una storia, specie se si è bambini (p. 4). Un cambiamento nella sua vita è avvenuto quando ha scoperto i libri africani. Questa esperienza l’ha salvata ‘dall’avere un’unica storia su che cosa sono i libri’ (p. 5).
La scrittrice viene da una famiglia di classe media nigeriana. Il padre era un professore universitario, la madre una direttrice amministrativa. Nella loro casa lavorava come domestico un ragazzo di nome Fide. Tutto ciò che sapeva di lui – attraverso i racconti della madre- era riferito alla sua povertà. Un giorno, però, andò in visita da lui, e scoprì che oltre quell’unica storia di povertà c’era molto altro di lui e del suo ambiente sociale che non veniva raccontato.
Segue una terza esperienza personale. Aveva 19 anni. Aveva lasciato la Nigeria per frequentare l’università negli USA. Una coinquilina con la quale condivideva l’appartamento era sconvolta perché lei parlava perfettamente inglese, e per tanti altri motivi. Aveva insomma una serie di pregiudizi sugli africani, ‘un’unica storia dell’Africa’ (p. 7), fatta di catastrofi. Una storia che ha una radice culturale ben precisa, costruita dai libri, dalla letteratura occidentale e da un tipo di narrazione (p. 9) ‘che ritrae l’Africa subsahariana come un luogo di negatività, di differenze, di tenebre.
Secondo la scrittrice un’unica storia si crea (p. 11) mostrando un popolo come una ‘cosa sola, come un’unica cosa, svariate volte’. I concetti di unica storia e potere sono fra loro interconnessi. Le narrazioni sono definite dal potere, che (p. 12) non solo può raccontare la ‘storia di una persona’ ma la può far ‘diventare la storia definitiva di quella persona’ (p. 12).
L’unica storia crea insomma stereotipi (la sua stessa storia personale è il risultato di tante storie che hanno fatto di lei ciò che è), che non sono falsi ma incompleti ( p. 15). È incompleta un’immagine dell’Africa solo catastrofica (anche se ce ne sono di immense, quali ad esempi gli stupri che sono avvenuti in Congo, ecc.), in quanto ce ne sono altre di cui bisogna parlare. Ci vuole, come ricorda lo scrittore nigeriano Chinua Achebe, ‘un equilibrio di storie’ (p. 16).
Al contrario un’unica storia priva le persone della propria dignità, e impedisce il riconoscimento, insistendo sulla diversità, della pari umanità. In definitiva conclude Chimamanda Ngozi Adichie (p.19):
[…] Le storie sono importanti. Molte storie sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare e diffamare. Ma le storie si possono usare anche per dare forza e umanizzare. Le storie possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare alla dignità spezzata. […]