Leggo, in questa fine estate, Il giallo violino della fenice di Vincenzo Di Oronzo (introduzione di Luigi Fontantella, MC edizioni, Milano 2023, euro 15,00). Per cercare di entrare nella sua poesia mi muovo sottotraccia, cioè seguo il filo rosso delle citazioni. Sicuramente rilevante è quella di Giovanni Papini (p.15): l’autore di questo libro credo sia tormentato dall’idea di capire noi esseri umani chi siamo. Non si limita, però, a porsi e a porci la domanda. Azzarda un’ipotesi, cioè che siamo maschere, attori, sognati da un ignoto soggetto (Dio?). Da questa suggestione, credo che si sviluppi il suo mondo poetico. Se è così la sua è una posizione filosofica, in cui ‘la porta rossa del grido d’amore’, ‘la fulgida luna’, e le ‘personae bianche’ non sono che un sogno, che a volte si fa musica, blues. E nel teatro dalla vita ogni attore recita la sua parte: qualcuno finge di amare, altri cadono nel dramma della droga, ecc.
Il poeta nelle sue liriche ricorre a volte all’iterazione, spesso a immagini fortemente simboliche. Luigi Fontanella nella sua bella prefazione evidenzia i rapporti con la psicologia junghiana. Questo procedimento raggiunge, a mio giudizio, i momenti più alti quando il meccanismo della visione si sostanzia in immagini nitide, in una parola essenziale e densa, in perfetta sintonia con il ritmo interiore del poeta come nel Il trucco e l’anima (p. 22). Qui mi colpisce la dedica a Ripellino, definito figurante dell’anima. La parola ‘figurante’ ritorna in Biglietto a perdere, e in altre parti della raccolta.
Il gruppo di liriche di pp. 22-24 si distinguono per la misura e l’intensità emotiva. Molto belli, ed evocativi i versi 6-12 della lirica L’età di Dio:
[…] Si sogna si sveglia
su due mari a Tarentum.Dicono che egli ha l’età di Dio,
in un labirinto di archi.
Ma egli non sa
le diecimila anime del padre,
che abitano nei suoi occhi di smeraldo. […]
Questi figuranti o attori, o personae (così li chiama l’autore) a volte diventano barboni seduti sulla fontana di Nettuno (Biglietto a perdere). A richiamarli in vita, o a scandire le loro esistenze è il ritmo ossessivo e sacrale del blues. La loro esistenza è avvolta in un mondo onirico, e la loro apparizione nel mondo delle cose non ha mai una consistenza reale ma è a metà fra la visione metafisica, e la proiezione dell’inconscio dell’io. La città (Allucinazioni a dicembre) fa da sfondo al loro agire, è ‘di figure in silenzio’ (p.48), e gli esseri che la popolano sono ‘di vetro’. Senza senso sembra il loro ridere, intensamente drammatico.
In Tarentum, una lirica dal ritmo lento e disteso, si susseguono una serie di immagini molto calde e vivide: il largo del golfo, le lampare, i guizzi di luce. L’acqua materializza volti. Segue una lunga pausa. Per un istante, in un’epifania, rivede anche quello della madre (p. 54):
[…] Al largo del Golfo, le lampare solcano baléni.
Volti d’acqua.Vedo mia madre. […]
Nell’ultima parte del testo seguono altre immagini, fra loro apparentemente staccate, come fotogrammi: i passanti sul lungomare, i pescatori che sciolgono le nasse, le donne nella luce (p. 54). Sembrano vere. Ancorate alla realtà, ma non è così. Il loro esserci nel mondo è solo istantaneo. Sono ‘esistenze di figuranti’ (p. 80), e si muovono all’infinito su ‘palcoscenici girevoli’. Non hanno un nome, un indirizzo, una sede fissa. Sono destinati al viaggio, a essere girovaghi e attori, al ritmo di una musica, di cui si può intuire ma non comprendere mai completamente l’essenza:
[…] Il loro destino è il viaggio
di girovaghi attori,
al bivio di un blues. […]