«Non fu mafia». La VI sezione penale della Corte di Cassazione ha escluso il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso che era stato riconosciuto a Massimo Carminati e Salvatore Buzzi nel processo di appello per “Mafia capitale”. La Corte ha riqualificato l’associazione mafiosa in associazione a delinquere semplice e ha fatto cadere molte delle accuse che erano state contestate a Buzzi e a Carminati: si terrà quindi un nuovo processo d’appello, ma solo per rideterminare le pene di alcuni imputati.
I giudici del tribunale supremo si sono pronunciati, complessivamente, su 32 imputati, di cui 17 condannati dalla Corte d’Appello di Roma, lo scorso anno, a vario titolo per mafia (per associazione a delinquere di stampo mafioso o con l’aggravante mafiosa o, ancora, per concorso esterno). Per questi 17 imputati il processo sarà da rifare per rideterminare le pene. «Roma è liberata dalla mafia. È stata scritta una pagina finalmente chiara. Credo che il tempo mi abbia dato ragione. Soprattutto questo collegio che nessuno potrà mai delegittimare. La vita di Buzzi da questo momento e cambiata, potrà guardare al suo futuro. Non escludiamo un’istanza di revoca della custodia cautelare». Ha detto il difensore di Salvatore Buzzi, Alessandro Diddi, dopo il verdetto definitivo. «Ora c’è un annullamento con rinvio e dobbiamo fare dei conteggi», ha aggiunto l’avvocato spiegando che sul profilo sanzionatorio bisogna ancora capire. Per Tagliaferri e Naso, difensori di Carminati, «il reato di mafia è caduto per manifesta infondatezza. Finalmente c’è un giudice a Berlino», ma questa sentenza ha «sconfitto il modo di fare processi di Pignatone e del Ros di Roma».
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L’inchiesta giudiziaria conosciuta come “Mondo di mezzo” o “Mafia Capitale” era cominciata nel dicembre del 2014 e aveva portato all’arresto di decine di persone per una presunta associazione mafiosa composta principalmente da esponenti politici e dalla criminalità organizzata romana, che controllavano appalti e finanziamenti pubblici con metodi mafiosi. Il processo di primo grado, tuttavia, si era concluso nel luglio 2017 senza che per i molti condannati fosse riconosciuta l’aggravante dell’associazione per delinquere di stampo mafioso. La procura di Roma aveva fatto appello contro la parte di sentenza che riguardava il mancato riconoscimento dell’aggravante mafiosa, e nel marzo 2018 era iniziato il processo di appello. La terza sezione della Corte d’Appello di Roma aveva poi riconosciuto il reato associazione per delinquere di stampo mafioso per alcuni degli imputati. Adesso la Cassazione dice chiaramente che «Il “Mondo di mezzo” non era un’associazione di stampo mafioso».
«Se non era mafia allora cosa era? Un’associazione di volontariato?», così Matteo Salvini ha commentato il verdetto della Cassazione su “Mafia Capitale”. La sindaca di Roma Virginia Raggi ha assistito alla lettura della sentenza della VI sezione penale insieme al presidente della commissione Antimafia Nicola Morra. «Questa sentenza conferma comunque il sodalizio criminale – ha detto la sindaca – È stata scritta una pagina molto buia della storia della nostra città. Lavoriamo insieme ai romani per risorgere dalle macerie che ci hanno lasciato, seguendo un percorso di legalità e di rispetto dei diritti. Ai nostri concittadini dico: “Andiamo avanti a testa alta”».
«La Corte di Cassazione smentisce l’impianto della sentenza della Corte d’Appello di Roma: Buzzi e Carminati nella capitale non avevano costituito un sodalizio di stampo mafioso che, mediante l’intimidazione solo paventata e la leva della corruzione, aveva in pugno tanti uffici dell’amministrazione comunale capitolina, ottenendo appalti ed affidamenti in maniera del tutto illecita», così afferma in un post su Fb il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Nicola Morra. Ma aggiunge: «A Roma non c’era mafia. Secondo la Cassazione. Le sentenze si rispettano. Ma le perplessità, i dubbi, le ambiguità permangono tutte». Parla anche l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, che in primo grado, in uno dei filoni dello stesso procedimento penale, è stato condannato a sei anni per corruzione e finanziamento illecito: «Roma ha pagato troppo queste accuse, la Cassazione ha fatto giustizia».