Il tema della difesa della libertà di stampa ha origini secolari. Un testo che ha fatto storia sull’argomento lo scrisse John Milton, ispirato dall’omonima composizione dell’ateniese Isocrate datata V sec. a.C., durante la guerra civile inglese. Nel giugno del 1643, infatti, il parlamento inglese approvò una “Press Ordinance” con la quale aveva stabilito che tutte le opere, prima della loro pubblicazione, dovessero essere esaminate dai censori, in modo tale che sia l’autore, sia lo stampatore (non esisteva ancora la figura dell’editore) potessero essere identificati ed eventualmente puniti (per legge), anche attraverso l’incarcerazione, qualora le idee espresse all’interno dell’opera non fossero considerate legali. Milton si scagliò coraggiosamente contro le velleità censorie dei suoi connazionali difendendo al contrario il libero dibattito delle idee soltanto attraverso il quale è possibile sviluppare la propria virtù, crescere culturalmente ed acquisire spessore umano. Sono passati 374 anni da quel periodo e dalle parole che milioni di persone hanno letto sul testo dello scrittore inglese che ammoniva con questa dura rampogna i suoi connazionali: «Non posso elogiare una virtù latitante e di clausura, non esercitata, che non respira, che non è mai sortita fuori e che non ha mai visto il proprio avversario, ma che, al contrario, sgattaiola fuori da quella gara in cui si deve competere per la ghirlanda immortale non priva di polvere e arsura».
“IL BUIO ORIZZONTE” DELLA LIBERTÀ DI STAMPA. Freedom House è forse il think thank contemporaneo più autorevole nel monitoraggio mondiale della libertà di stampa nei vari paesi del mondo. Ogni anno Freedom House disegna una mappa della libertà di stampa che coinvolge tutto il globo e fotografa plasticamente il grado di libertà di cui i giornalisti possono godere in ogni singolo paese del mondo. Gli indici complessi utilizzati da Freedom House per pesare la libertà di stampa di un paese fanno riferimento a tre grandi categorie: l’architettura legislativa in tema di libertà d’espressione; il contesto politico in termini di influenza esercitata sulla stampa; il contesto economico in termini di proprietà degli organi di stampa e di permeabilità alla corruzione da parte dei giornalisti. Il quadro disegnato per il 2017 presenta, per voler usare un eufemismo, delle tinte molto fosche. Non a caso si parla di “orizzonte buio” per la libertà di stampa nel mondo. Basti pensare che, secondo le stime di Freedom House, soltanto il 13% della popolazione mondiale può godere di una stampa totalmente libera dove, con quest’ultima definizione, si intende una stampa dove l’incolumità dei giornalisti sia garantita, dove l’intrusione dello stato nelle questioni dei media è residuale e dove la stampa non sia sottoposta a forti pressioni legali od economiche. Freedom House denuncia inoltre l’ascesa di sempre più figure politiche che nella loro azione hanno ripetutamente delegittimato ed attaccato la stampa. Il più illustre tra questa schiera è certamente Donald Trump che ha più volte negato il ruolo positivo della stampa nel rendere i politici responsabili delle parole pronunciate di fronte ad una telecamera o ai microfoni di un giornalista. Senza dimenticare le recenti derive autoritarie in Polonia ed Ungheria dove Orban e Duda stanno cercando di aumentare l’influenza dello stato sui media e, parallelamente, di finanziare e supportare emittenti private a loro vicine.
DA ANNA STEPANOVNA POLITKOVSKAJA A DAPHNE CARUANA GALIZIA. Anche e soprattutto le donne hanno pagato un altissimo prezzo di sangue nel difendere la libertà di stampa, nel preservare la possibilità di porre liberamente delle domande, nel custodire gelosamente la legittima aspirazione alla verità nella sua forma più oggettiva possibile. Il caso della russa Politkovskaja è tra i più noti degli ultimi anni. Giornalista senza timori reverenziali, Politkovskaja si occupò, nella parte finale della sua carriera, di indagare sulla gestione della guerra in Cecenia da parte delle autorità russe non risparmiando critiche ed attacchi al presidente Putin. La documentazione degli abusi dell’esercito russo sulla popolazione civile cecena, che la Politkovskaja ha sempre difeso, rimangono un fulgido esempio di etica professionale e di impegno nei confronti dei diritti umani. Anna Stepanovna Politkovskaja fu uccisa il 7 ottobre del 2006 con 4 colpi di pistola di cui uno alla testa. Né il colpevole né il mandante sono mai stati identificati anche se l’opposizione russa ha sempre puntato il dito contro Vladimir Putin sostenendo l’esistenza di una lista di persone sgradite che sarebbero dovute scomparire nel più breve tempo possibile di cui faceva parte la stessa Politkovskaja insieme ad altri nomi noti e poi effettivamente uccisi come Alexander Litvinenko. Daphne Caruana Galizia rappresenta invece l’ultima vittima della quotidiana lotta per la verità che un giornalismo serio e mai prono ai compromessi porta avanti in tutto il globo. La blogger maltese aveva da tempo intrapreso un percorso per ricostruire alcuni intrecci che legavano importanti politici maltesi ad un grosso giro di corruzione. Donna scomoda perché non ha mai smesso di porre e porsi interrogativi, era uscita dai circuiti ufficiali del giornalismo maltese a causa di ambienti e situazioni opachi e poco inclini alla libertà. Daphne è stata fatta saltare in aria nella sua auto, un omicidio barbaro, vigliacco, come quelli di cui furono vittime Falcone e Borsellino. Anche lei, come i due illustri giudici siciliani, seguiva i soldi per trovare la mafia, il malaffare, il putrido olezzo della corruzione. Vite come quelle di Daphne e Anna sono un fulgido esempio, una brillante testimonianza, la rappresentazione plastica della volontà di difendere quella “libertà di cercare la verità” che dovrebbe informare qualsiasi attività giornalistica. Abbiamo il dovere, in un mondo dove, purtroppo, nessun diritto appare più scontato, di difendere la libertà di stampa e di espressione, di assicurare a chiunque di poter chiedere il perché delle cose senza timore per la vita propria e altrui, abbiamo il dovere di portare avanti questa battaglia, ad ogni costo.