Reeva è stata colpita da quattro proiettili che hanno attraversato la porta chiusa del bagno. È stata uccisa nella sua casa di Pretoria la mattina di San Valentino del 2013 dal suo fidanzato. Un femminicidio e non un incidente. Alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne la Corte Suprema d’Appello sudafricana ha raddoppiato la pena per Oscar Pistorius. L’ex campione paralimpico è stato condannato a 13 anni e cinque mesi di reclusione, accogliendo il ricorso della pubblica accusa secondo cui la sentenza di primo grado, sei anni, era considerata “troppo lieve”.
IL PROCESSO. La condanna in primo grado per il brutale omicidio della sua fidanzata, la modella Reeva Steenkamp, aveva suscitato non poca indignazione. Il primo ricorso era stato presentato contro la sentenza originaria, che a ottobre del 2014 aveva condannato il campione paralimpico a cinque anni di carcere per omicidio colposo, stabilendo che non c’era stata l’intenzione di uccidere la vittima. A seguito di quel primo ricorso il tribunale supremo d’appello aveva annullato, nel dicembre del 2015, la prima sentenza e dichiarato Pistorius colpevole invece di omicidio volontario portando la pena a sei anni. Contro quella sentenza arriva oggi la correzione della Corte Suprema d’appello: «La pena detentiva di sei anni emessa dal tribunale di Pretoria nel 2016 viene cancellata e sostituita dalla seguente: l’imputato viene condannato a 13 anni e 5 mesi di carcere. Pistorius che si è sempre proclamato innocente affermando durante il lungo processo di aver sparato pensando che ci fosse un ladro in casa, resterà in carcere, salvo clamorosi colpi di scena, fino al 2030.

CERTEZZA DELLA PENA. Non servono misure più severe, ma la certezza della pena per arginare il fenomeno del femminicidio e della violenza di genere. Ci vuole la sicurezza che in qualunque contesto si verifichi la violenza l’uomo venga acchiappato e sbattuto dentro. Senza attenuanti, senza giustificazioni. La donna deve avere alle spalle uno Stato che la protegge e che sta al suo fianco quando decide di denunciare. Ma i tempi biblici dei processi, l’archiviazione dei casi e pene illusorie ci raccontano un’altra storia. Le tante storie di donne sbattute sulle prime pagine dei giornali sotto al “clamoroso” titolo: «Nuovo caso di femminicidio».