Che la regione mediorientale fosse una polveriera non lo si scopre di certo oggi. Ma l’annuncio di Trump mette ancora più disordine nei delicatissimi equilibri in essere tra Israele e Palestina. La già annunciata intenzione di spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, con conseguente riconoscimento implicito di quest’ultima come capitale dello Stato israeliano, ha provocato dure reazione dal mondo arabo alle quali si aggiungono le perplessità degli alleati occidentali.
LE REAZIONI. Alla luce delle risposte internazionali alla notizia, si ipotizza che il governo americano possa quantomeno far slittare l’annuncio e, va detto, l’ambasciata non verrà mossa da Tel Aviv se non prima di sei mesi. Tuttavia, con questa decisione, Trump ha trovato l’opposizione di due alleati storici nella zona: Turchia e Arabia Saudita. Il premier turco Erdogan ha avvertito il capo della Casa Bianca che il riconoscimento implicito di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta «una linea rossa per i musulmani» e ha minacciato di interrompere i rapporti diplomatici con lo Stato ebraico. Mentre, per quanto riguarda Riyad, il governo saudita ha espresso «seria e profonda preoccupazione» per una decisione che rischia di «irritare i sentimenti dei musulmani nel mondo». Altre reazioni dal mondo islamico sono arrivate da Teheran, con l’Ayatollah Khamenei che ha bollato l’iniziativa di Trump come «segno di incompetenza e fallimento». La Giordania ha invece invocato una riunione speciale della Lega araba che dal canto suo, tramite il segretario generale dell’organizzazione Ahmed Aboul Gheit, ha invitato il presidente degli Stati Uniti a «evitare qualsiasi iniziativa capace di mutare lo status giuridico e politico di Gerusalemme». Quanto agli alleati occidentali, perplessità sono state espresse dal ministro degli Esteri italiano Alfano, secondo cui «non si può retrocedere dalla soluzione dei due Stati». Espediente auspicato del resto anche dall’UE tramite l’Alto rappresentante Federica Mogherini, che ha ribadito come l’Unione sostenga «la ripresa di un significativo processo di pace verso la soluzione dei due Stati». Preoccupazione è inoltre stata espressa dal presidente francese Macron, il quale ha affermato che qualsiasi decisione sullo status della città santa dovrà essere presa «nel quadro dei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi».
I PALESTINESI. I diretti interessati non hanno fatto attendere la loro risposta. Tutte le organizzazioni che sostengono l’indipendenza palestinese hanno aspramente condannato la scelta di Trump, bollandola come un ricatto, e hanno annunciato “3 giorni di collera” a partire da mercoledì per protestare contro questa decisione, invitando i palestinesi in Israele e nel mondo a «raccogliersi nei centri delle città e di fronte alle ambasciate e consolati israeliani con l’obiettivo di portare la generale rabbia popolare». Si rischia una nuova Intifada, e le forze armate israeliane si stanno preparando a fronteggiare duri scontri. A livello governativo, il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen ha contattato il presidente russo Putin, esprimendogli tutta la sua preoccupazione per la città di Gerusalemme, spiegando che «occorre muoversi per proteggere i santuari islamici e cristiani esposti a rischi».
PAPA FRANCESCO. Abu Mazen ha telefonato inoltre al Papa, che da sempre chiede la cessazione delle ostilità in Terra Santa. Il pontefice ha invitato alla saggezza e alla prudenza, auspicando che tutte le parti si impegnino «a rispettare lo status quo della città, in conformità con le pertinenti Risoluzioni delle Nazioni Unite, per evitare di aggiungere nuovi e ulteriori elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti».
TRUMP ANTI-ISLAM? La scelta di Trump, che ha ottenuto il solo plauso del presidente israeliano Benjamin Netanyahu, si inserisce in una serie di mosse che hanno avuto come bersaglio l’islam e i suoi fedeli. È degli scorsi giorni la ratifica del Travel Ban, legge che non permette ai cittadini di governi ritenuti terroristi di approdare e risiedere negli USA. La misura si riferisce a 9 stati in totale, di cui solo due non sono a maggioranza musulmana, Venezuela e Corea del Nord, ma di quest’ultimi non sono ammesse solamente figure di regime, mentre si lascia spazio ai rifugiati. La stessa cosa non vale per gli altri 7 stati che rientrano nel provvedimento, tutti a maggioranza musulmana. Alla luce di questa iniziativa, il provvedimento di trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme sembra rivolgere un ulteriore schiaffo al mondo islamico, non facendo altro che aumentare la tensione di un quadro politico mondiale già di per sé instabile. Se si aggiungono a questi provvedimenti anche il famoso progetto del muro al confine col Messico, la politica di “America First” di Donald Trump sembra sempre di più essere isolazionista e xenofoba. Ma al di là di queste considerazioni, che rispecchiano il pensiero di chi scrive, è innegabile che Trump si stia prendendo gioco della pace mondiale, calpestando senza ritegno l’organo delle Nazioni Unite, creato appositamente per evitare conflitti nel mondo e che ha avuto tra i principali promotori proprio gli USA. Del resto, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele va contro la Risoluzione 478 dell’ONU, che definì «nulla e priva di validità» la dichiarazione promulgata dalla Knesset che proclamava la città santa delle 3 religioni abramitiche capitale dello Stato ebraico, definendola «una violazione del diritto internazionale e un serio ostacolo al raggiungimento della pace in Medio Oriente». Inoltre le dichiarazioni sopra le righe e spesso minacciose che si sentono pronunciare dai rappresentanti americani e dallo stesso Trump al palazzo di vetro, suscitano ogni volta maggiore preoccupazione. Che sia o meno anti-islamica, l’attuale politica estera del governo statunitense rischia dunque di rappresentare una seria minaccia alla pace mondiale.