Gli Usa, per bocca di Donald Trump, sarebbero pronti a tirarsi fuori dalla Nato. Eccola l’ennesima provocazione del presidente degli Stati Uniti, che adesso minaccia anche gli alleati. Il tycoon ha avvertito i membri del Patto Atlantico che se non aumenteranno le spese militari da destinare a quest’ultimo, la Nato vedrà venire meno il suo perno, quegli americani che nel 1949 l’avevano fondata. Ma, colpo di scena nel colpo di scena, alla fine Trump ritratta: «Potrei fare uscire gli Usa dalla Nato, ma non lo farò». Evidentemente i 33 miliardi che quegli stessi alleati minacciati hanno sborsato hanno fatto cambiare idea al presidente, che non sazio delle guerre commerciali le quali, oltre alla Cina, rischiano di coinvolgere sempre di più anche l’Europa, si è messo a fare il “bullo” anche con l’Alleanza Atlantica, peraltro continuando a spingere un vecchio cavallo di battaglia sbandierato in campagna elettorale dal politico più atipico di sempre.
IL PATTO. La Nato o Otan, Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, nasce nel 1949, pochi anni dopo il termine della Seconda Guerra mondiale. L’alleanza si forma inizialmente in chiave antisovietica, con la polarizzazione del mondo in due blocchi. Dall’altro lato, i sovietici crearono da par loro il Patto di Varsavia. La Nato ha implementato le difese militari dei paesi appartenenti al blocco occidentale e ha condotto, più o meno alla luce del sole, vere e proprie operazioni contro gli avversari. Così si è andati avanti per più di 40 anni, ma a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, con l’arrivo di Gorbacev e il riavvicinamento tra i due blocchi, e definitivamente dal ’91, anno in cui l’Urss ha cessato di esistere, il Patto Atlantico ha spostato la propria attenzione su altri tipi di minacce e di nemici: più di tutti il terrorismo islamico. L’alleanza ha inoltre partecipato unita all’ultimo grande conflitto del Novecento, la guerra fratricida dei Balcani, che vide disgregarsi la Jugoslavia tra crimini di guerra e atrocità. Tuttavia gli alleati europei nel corso del post Urss hanno destinato sempre meno soldi al mantenimento della Nato, per diverse ragioni: anno dopo anno le spese militari, anche se solo sulla carta, sono state sempre più messe da parte, e alcune costituzioni, come del resto la nostra, non contemplano e ripudiano la guerra. Inoltre, un nemico così multiforme come il terrorismo islamico, molto più presente e pressante nell’area compresa tra gli Urali e l’oceano atlantico che non nel territorio americano nel quale, se si eccettua l’undici settembre, la minaccia fondamentalista è, quantomeno geograficamente, meno immediata, ha fatto variare l’utilizzo delle risorse. Così gli europei si sono in parte stancati di finanziare le spese americane di difesa contro dei nemici percepiti nel Vecchio Continente non allo stesso modo che negli Usa, come Corea del Nord, Cina o Russia.
LA POLITICA DELLE MINACCE. Tuttavia Trump continua a mietere successi con la sua politica estera minacciosa. Non solo la Corea, non solo il banco fatto saltare al G7, non solo la Cina, adesso sono stati messi sotto scacco gli alleati europei, costretti a mediare e cercare compromessi di volta in volta col presidente degli Stati Uniti più atipico di sempre. Il fatto che lo stesso Trump abbia ritrattato la sua dichiarazione di uscita dall’alleanza dopo i 33 miliardi che gli europei avrebbero messo sul piatto per non perdere il perno e fondatore su cui il Patto si regge, dimostrano che il modo di fare del tycoon diventato (per caso) statista regge. E se lo fa, è perché chi si dovrebbe opporre è debole e diviso, e ogni riferimento all’Unione Europea è puramente voluto. Anche le parole scelte per annunciare il ripensamento, «potrei farlo ma non lo farò», lasciano sempre viva la minaccia. E così Trump convoca conferenze stampa d’urgenza e sventola i suoi successi, alle Nazioni Unite lancia intimidazioni a destra e a manca e lancia guerre commerciali. Un modo di fare politica che sta facendo scuola e sta facendo ottenere consensi anche oltreoceano. E che in un certo senso sta riscrivendo alcuni manuali di scienze politiche.