Da quando è nata nel 2012 dalle ceneri della Big Bang fino a quando ha chiuso i battenti lo scorso anno, la fondazione Open è stata la cassaforte che ha finanziato l’ascesa politica di Matteo Renzi. E per questo «bisogna accertare quali siano stati nel dettaglio i rapporti instauratisi tra la stessa Open e i soggetti finanziatori». È in questa frase, contenuta nel decreto di perquisizione eseguito dalla Guardia di Finanza, la chiave dell’indagine della procura di Firenze che mira a verificare dove siano finiti i soldi che imprenditori e aziende hanno versato dal 2012 al 2018 a Open. Ma soprattutto se quel denaro potesse essere in realtà, almeno in alcuni casi, un finanziamento illecito che aveva lo scopo di portare vantaggi a chi decideva di sostenere economicamente la carriera di Renzi e il partito.
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L’indagine, iniziata due mesi fa con le prime perquisizioni negli uffici della Fondazione Open, gestita dall’avvocato Alberto Bianchi, è arrivata sulle prime pagine dei giornali questa settimana, dopo che la procura di Firenze aveva ordinato perquisizioni nelle società che avevano finanziato Open tra il 2012 e il 2018. Nella lista spicca Davide Serra imprenditore amico di Renzi, poi c’è la multinazionale del farmaco Menarini della famiglia Aleotti e ci sono anche le società dell’armatore napoletano Onorato. I finanzieri sono entrati pure nella sede dell’impresa di costruzioni di Parma Pizzarotti, e in quella della holding del gruppo Gavio, secondo concessionario italiano delle autostrade, così come alla Garofalo Health Care, società del settore della sanità privata. E poi hanno «visitato» la Getra di Napoli, che produce trasformatori elettrici, e la British American Tobacco. In sei anni sono stati elargiti milioni di euro. Il sospetto è che Bianchi fungesse da mediatore con la politica e in particolare con il «giglio magico», visto che la fondazione è stata aperta nel 2012 e chiusa nel 2018 quando Renzi si è dimesso da premier.
La fondazione Open nasce nel 2012 per sostenere le iniziative politiche come la Leopolda di Matteo Renzi e la corsa dello stesso Renzi alle primarie del Pd fino all’approdo a Palazzo Chigi e alla campagna per il “sì” al referendum costituzionale. È stata attiva fino all’aprile 2018, raccogliendo 6,7 milioni di euro. Fino a che è stata in vita, ricostruisce l’Agi, sul proprio sito erano presenti anche i nomi dei finanziatori. Non tutti però avevano dato il via libera alla pubblicità della donazione. Quell’elenco top secret è stato sequestrato a settembre nel corso della perquisizione a cui è stato sottoposto il presidente della Fondazione, l’avvocato Alberto Bianchi, al quale viene contestato il traffico d’influenze illecite e il finanziamento illecito ai partiti.
Nel provvedimento viene specificato che «la fondazione Open ha agito come articolazione di partito politico» e per dimostrarlo vengono elencate le iniziative «relative alle “primarie” dell’anno 2012, quelle per il “comitato per Matteo Renzi segretario”, ma anche le ricevute di versamento da “parlamentari”». Nel capitolo relativo al «sostegno» dei parlamentari si sottolinea come «Open ha rimborsato loro le spese e ha messo a loro disposizione carte di credito e bancomat». Una cassaforte, quindi, che era alimentata dai soldi versati dai privati. Denaro che in alcuni casi veniva pagato all’avvocato Bianchi per pratiche legali o consulenze, ma che poi veniva «retrocesso» dal professionista. Un modo — questa è l’accusa — che in realtà serviva a mascherare il finanziamento illecito. Non a caso si sottolinea la «necessità di vagliare le sue condotte, considerato che le acquisizioni investigative evidenziano significativi intrecci tra prestazioni professionali rese da Bianchi e dai suoi collaboratori e i finanziamenti alla Open».
Matteo Renzi però non ci sta e su Facebook ha accusato i magistrati di aver preso di mira soltanto la sua fondazione rispetto alle centinaia che svolgono attività simili, e ha anche ricordato che i due magistrati che conducono l’inchiesta sono gli stessi che tempo fa hanno chiesto l’arresto dei suoi genitori con l’accusa di bancarotta fraudolenta, una richiesta poi respinta dal tribunale del riesame «ma il danno mediatico, e psicologico, ormai era già stato fatto», scrive l’ex premier. Renzi, che non è indagato né è stato perquisito, Carrai e Bianchi hanno detto di non aver commesso alcun reato e di attendere serenamente la conclusione delle indagini.