Marion Poschmann è poco nota al pubblico italiano. Il suo ultimo romanzo, “Le isole dei pini”, uscito lo scorso aprile per Bompiani, è stata una vera e propria rivelazione, con la sua scrittura a metà fra la prosa e la poesia, dai toni vagamente onirici, delicata, sfumata, e a tratti ariosamente limpida.
In questo bellissimo libro la scrittrice racconta la storia di Gilbert Silvester, un raffinato intellettuale, che ha cercato senza riuscirci di affermarsi nel mondo universitario, che vive facendo progetti di vario tipo, e che guadagna meno della moglie, un insegnante che tiene anche corsi di aggiornamento per i colleghi. L’ultimo progetto in cui è impegnato è sponsorizzato dall’industria cinematografica renana e riguarda le diverse tipologie di barba.
La narrazione è tutta incentrata sulla figura di questo personaggio e la sua psicologia viene tratteggiata con estrema precisione di dettagli dall’autrice via via che la vicenda si svolge. La storia comincia dopo un brutto sogno di Gilbert: in un incubo la moglie lo tradisce con un altro. Per tutto il giorno successivo non riesce a liberarsi dalle sensazioni del sogno, litiga con la Mathilda, e parte per una meta a lui ignota e per una ragione che non gli è chiara fino in fondo. Intraprende, spinto da un’energia che non sa dove viene, un viaggio di scoperta non solo di un’altra terra ma anche di se stesso, durante il quale realizza che gli ideali su cui aveva costruito la sua vita sono crollati. Avverte di essere andato incontro a una sconfitta esistenziale (pp.15-16), di aver bisogno di altro, ma fatica a capire cosa.
Sarà il viaggio e la scoperta di luoghi ignoti a rivelargli le oscure radici del suo malessere. Egli è alla ricerca di un senso, di uno scopo da dare alla sua vita, e lo trova. Giunto in Giappone osserva la barba di un giovane, di nome Yosa. Lo segue. Si accorge che vuole buttarsi sotto a un treno, perché teme di non superare un esame. Lo convince a non farlo e lo porta nella sua stanza. Da quel momento sente il dovere morale di aiutare quel ragazzo. Comincia anche a leggere la storia del poeta Basho, del suo bisogno di trovare la poesia, e del viaggio che compie fino alla baia delle Isole dei pini. La storia personale di Gilbert si viene a intrecciare quindi con quella di questo poeta giapponese e poco a poco avverte il bisogno di allontanarsi dalla vita mondana, dalla società capitalistica in cui fino allora era vissuto, e di compiere, lasciandosi tutto alle spalle, un percorso verso l’ascesi e la poesia (pp. 52-53):
[…] Si diressero verso la metropolitana. Yosa portava la borsa sportiva con il manuale, Gilbert la sua borsa in pelle con il diario di viaggio di Basho. Ne aveva letto poche pagine, ma già l’avvio lo convinceva. Ascesi monastica, riservo e modestia, povertà di spirito. Anche il suo personale progetto di distacco consisteva nel creare un intervallo. Uno spazio tra lui e la società, lui e le convenzioni sociali, lui e gli obblighi assurdi dell’onnipossente turbocapitalismo. […]
Basho aveva avuto un accompagnatore di nome Sora. Anche Gilbert ne ha uno: è il giovane Yosa. Quasi in una sorta di storia parallela i due si mettono in cammino ma durante il tragitto Gilbert perde involontariamente Yosa: ciò simbolicamente rappresenta la liberazione da parte del personaggio principale di una parte di se stesso. È il preludio fondamentale, necessario, senza il quale non può portare a compimento il suo percorso di purificazione. Solo ‘uccidendo’ il proprio io può ritrovare la ragione e salvarsi e giungere così alle Isole dei pini.
La scrittura di Marion Poschmann è luminosa, ridente. È una sapiente commistione fra il romanzo psicologico e quello esistenziale, ma è anche un recupero in chiave moderna dei percorsi di ascesi medievali occidentali e orientali e in tal senso Le isole dei pini vengono a essere un viaggio nell’interiorità: quello che ognuno di noi dovrebbe fare (ci suggerisce fra le righe l’autrice!) per ritrovare se stessi e il senso autentico dell’esistere.