Diciotto città isolate, controlli a tappeto e cordoni sanitari estesi a 56 milioni di persone. Le celebrazioni del capodanno cinese a Pechino sono state cancellate a tempo indefinito. La Città proibita ha chiuso le sue porte ai turisti. È stato tagliato ogni collegamento con la città di Wuhan, epicentro dell’epidemia: sospesi autobus, metropolitane, traghetti, voli e treni. Diversamente dall’epidemia della Sars, stavolta il governo Pechino non vuole nascondere il propagarsi del virus: vuole che il mondo sappia che sta facendo tutto il possibile per contenere il virus che finora ha contagiato circa 1350 persone e provocato 42 morti.
Il presidente cinese Xi Jinping ha ammesso la “gravità” della situazione: «Di fronte alla grave situazione di un’accelerazione della diffusione del nuovo coronavirus, è necessario rafforzare la leadership centralizzata e unificata del Comitato centrale del Partito». Xi Jinping ha però assicurato che la Cina può ancora vincere la battaglia. «Finché avremo fiducia costante, lavoreremo insieme, con prevenzione e cure scientifiche e politiche precise, saremo sicuramente in grado di vincere la battaglia».
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La vicenda ha elementi in comune con la Sars, altra malattia apparsa in Cina 18 anni fa, ma con un tasso di mortalità molto più alto dell’attuale. All’epoca, il governo cinese fu duramente criticato per avere comunicato in ritardo i primi casi di contagio, complicando la risposta internazionale e portando a una rischiosa crisi sanitaria globale. Tra il 2002 e il 2003, la sindrome respiratoria acuta grave (SARS, dall’inglese “Severe Acute Respiratory Syndrome”) causò la morte di 774 persone in 17 paesi, con oltre 8mila persone che si ammalarono in 26 nazioni dopo essere state contagiate dal coronavirus. La malattia interessò soprattutto la Cina meridionale e Hong Kong, con un tasso di mortalità che raggiunse il 10% circa, molto alto rispetto ad altre malattie virali.
Come ricorda l’Associated Press, per mesi nel 2002 e nel 2003, anche quando la Sars si era già diffusa in tutto il mondo, Pechino cercò di nascondere il numero di casi reali parcheggiando i pazienti negli hotel e spostando i malati con le ambulanze per evitare il rilevamento da parte di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità. Oggi, a quasi due decenni di distanza, la risposta delle autorità cinesi è radicalmente diversa: il governo sta facendo di tutto per comunicare al Paese e al mondo che sta adottando ogni misura necessaria per contenere i contagi.
E in effetti il cordone sanitario innalzato attorno alla città di Wuhan e agli altri centri vicini non ha precedenti. Nel caso della Sars, il primo focolaio si ebbe in Cina nel novembre del 2002, ma il virus venne identificato a marzo del 2003 a Hong Kong. Di fronte a un’emergenza destinata a incidere pesantemente sull’economia cinese, il governo di Pechino ha scelto la linea della trasparenza contro la tentazione dell’insabbiamento. Xi Jinping è consapevole delle conseguenza che questa sfida può avere sulla sua reputazione ed è determinato a non ripetere gli errori di chi lo ha preceduto. Conosce le insidie della censura e non vuole caderci. Per questo sta percorrendo un’altra via: informare e adottare qualsiasi misura utile a limitare i contagi.